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Antonio Ferrara intervista Micol des Gouges


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Micol des Gouges

Oggi rimando la pubblicazione della diciassettesima parte del romanzo “Gli occhi del male” per lasciare spazio a una giovanissima, talentuosa e misteriosa autrice che a soli diciannove anni esordisce a quattro mani insieme a un maestro del calibro di Danilo Arona, con il romanzo L’autunno di Montebuio.

1 Chi è Micol des Gouges per Micol des Gouges?

Micol des Gouges è una delle parti in cui sono frammentata e che ogni tanto viene a galla.

2 Come ti è venuta in mente la follia di scrivere?

È davvero una follia! La scrittura è un istinto, ti prende e non puoi far nulla per resisterle. Come con tutte le passioni, puoi solo cederle. Ed è giusto che sia così! È una delle attività umane più liberatorie e belle.

3 Esordire a quattro mani con un maestro come Danilo Arona non è da tutti, figuriamoci convivere con il suo alter ego Morgan Perdinka. Come hai fatto?

Sono stata coraggiosa! È stata una esperienza fondamentale, iniziatica. Danilo, e l’ombra di Perdinka dietro di lui, sono entità stimolanti, forse un po’ inquietanti. Ma è una delle migliori persone che conosca e gli sarò grata a vita!

4 Edizione cartacea o eBook?

Sono un’affezionata del cartaceo, permette un rapporto sensoriale completo con il libro però capisco anche che l’eBook, oltre ad essere il futuro, dia molti vantaggi, come la possibilità di avere sempre con sé un vero e proprio archivio di libri.

5 I prossimi tuoi lavori letterari si concentreranno sempre sul lato oscuro delle cose? Hai un debole per la bara traballante?

Ho un debole per il lato oscuro delle anime, per i meandri bui nei quali rinchiudiamo i nostri segreti, le vergogne, i desideri difficili da accettare. L’umanità è horror!

6 Stephen King sostiene che: Uno scrittore competente si possa trasformare in un bravo scrittore, ma che un cattivo scrittore non possa diventare un bravo scrittore.

Un cattivo scrittore è condannato: ha l’istinto che lo porta a scrivere ma non la capacità per farlo bene, un tormento (per lui che scrive e per chi lo legge!). Uno competente ha la possibilità di diventar bravo, ma la competenza non è tutto.

7 Vivere di scrittura? Che ne pensi?

Che se fosse possibile, e l’ispirazione fosse meno capricciosa, sarebbe un sogno.

8 Sei molto giovane e mi piacerebbe sapere  cosa nei pensi dei social networks e della televisione. Come li vedi nella vita di uno scrittore?

La televisione ha ben poco a che fare con gli scrittori e con la cultura in generale. È un peccato. I social networks possono essere un valido strumento di informazione, diffusione, se usati con abilità.

9 Parlami dell’autunno di Montebuio.

L’Autunno di Montebuio parla dei tredici giorni di ottobre che, nel 1962, portarono il mondo sulla soglia di una guerra nucleare, terrorizzandolo. Giorni di incertezza, confusione, paura che furono vissuti da tutti, dagli adulti e dai bambini. Proprio i bambini sono i protagonisti di questa storia, la sua voce narrante, bambini allontanati dalle notizie di quei terribili giorni con false rassicurazioni, ma non per questo salvaguardati e protetti dal terrificante clima di tensione. E nemmeno al sicuro da eventi ben più strani.

10 Come scrivi? Quando scrivi? Dove scrivi?

Scrivo completamente isolata, di solito nella mia camera, il mio tempio, nella penombra, con musica quasi inudibile oppure a un volume spropositato. Non posso scrivere sempre ma solo quando mi sento richiamata dalla storia, altrimenti ogni tentativo è frustrante e inconcludente.

11 Qualche anticipazione sul tuo prossimo lavoro letterario?

Montebuio ha ancora molto da svelare…

12 A scuola insegnanti amici cosa ti dicono della tua esperienza letteraria? Ci sono ancora molti pregiudizi nei confronti dei romanzi horror?

Sono tutti entusiasti! Io cerco di mantenere un certo contegno, mentre gli altri si lasciano andare del tutto. Qualcuno mi ha guardato un po’ interrogativo quando ho parlato delle tematiche del libro, l’horror è spesso visto con diffidenza, ma li ho spinti a leggerlo: c’è sempre tempo per infrangere un pregiudizio.

13 Cosa vuol fare da grande Micol des Gouges?

Vivere il momento e scrivere tanto.

Grazie per essere stata mia ospite.

Vai alla scheda del libro: L’autunno di Montebuio


Letteratura Horror questa sconosciuta…


L'autunno di Montebuio di Danilo Arona e Il giocattolaio di Stefano Pastor

L’autunno di Montebuio (Danilo Arona e Micol Des Gouges) e Il giocattolaio (Stefano Pastor)

Scrivo dal mio computer (quello che di genere uso per scrivere racconti, romanzi e tutto quello che mi frulla per la testa) per cercare di fare un punto della situazione sul fenomeno, ma sarebbe meglio dire “NON fenomeno”, della letteratura di genere horror in Italia. Ultimamente ho assistito al brusco cambio di direzione intrapreso dalla Gargoyle Books dopo la sua cessione. Certo ora pubblica senpre Dan Simmons, ma gli italiani? Questo popolo di naviganti e scrittori? Dove sono? Ah, Danilo Arona, il maestro, il punto di riferimento dell’italica paura e del brivido su carta. Certo Danilo Arona fortunatamente è vivo e vegeto, ma purtroppo il suo ultimo libro con la Gargoyle risale a qualche anno fa quando l’editore era sotto un’altra guida. L’estate di Montebuio, un libro che meriterebbe di stare in pompa magna sugli scagfali di tutte le librerie è invece nisba. Poi è arrivato il turno della Edizioni XII dopo che i ragazzi si erano mossi bene e senza incertezze e dopo che avevano pubblicato quel capolavoro di romanzo di Malapunta di Danilo Arona (capolavoro inteso come contenuti, cura dei particolari, edizione e copertina) . Prendetelo ora o mai più. Credo che ci sia tempo fino al 31 dicembre poi non saprei.

Qualcuno ora si starà chiedendo, bene Antonio e allora? Tante aziende cambiano, chiudono, si rinnovano e allora cosa c’è di strano? COSA C’È DI STRANO!?! Ve lo dico io cosa c’è di strano, c’è di strano che siamo, me compreso, che una banda di decelebrati che passano le giornate intere su Facebook a dire cazzate e a mettere i mi piace su i vari libri che vedono, ma che poi non comprano. C’è di strano che tutti vogliono fare gli scrittori, ma che poi non comprino i libri degli altri, c’è di strano che uno manda un testo a una casa editrice senza sapere neanche cosa pubblica, c’è di strano che il nostro paese funziona a caste e per forza di cose o ne fai parte oppure te ne puoi stare a casa tua. Ancora c’è di strano che nelle librerie di tutta la penisola nel reparto Horror ci siano Kilpatrick Nancy, Stephenie Meyer, Rebecca Maizel. I vampiri hanno conquistato il mondo, peccato che la maggior parte dei lettori di questa “roba” non abbia mai letto Le notti di Salem di Stephen King oppure Dracula di Bram Stoker. Detto questo e mi scuso per lo sfogo postadolescenziale, c’è da dire che ci sono nuove realtà all’orizzonte che stanno tentando di intrapendere l’audace strada dell’horror.

Si tratta di Mezzotints Ebook curata dall’istancabile Alessandro Manzetti (Il mio personale in bocca al lupo a questa iniziativa) e di Nero Press Edizioni dei sempreverde Daniele Picciuti e Laura Platamone. Da lodare anche la Fazi Editore per aver pubblicato l’ottimo romanzo di Stefano Pastor (Il Giocattolaio) un autore con il debole per la bara traballante che seguo da un bel po’.

In definitiva credo che le cose potrebbero andare meglio per questo tipo di mercato, ma c’è bisogno di una rivoluzione culturale, altrimenti rischiamo di perdere tante buone storie solo perchè non le abbiamo trovate in Autogrill vicino al registratore di cassa. Non ci vuole molto, basta cercare e informarsi e vedrete che il buon romanzo vi chiamerà a se e, se questo accade, se accade, non abbiate indugi, mano al portafogli e comprate. Vi sarete regalati una fantastica storia da leggere e vivere oltre a qualche brivido (sembre gradito) e sarete consapevoli di star leggendo qualcosa di non filtrato o politicizzato, ma semplicemente una storia così come l’autore l’ha concepita.

La verità, nient’altro che la verità… Questa sconosciuta.


Antonio Ferrara intervista Laura Platamone


Laura Platamone

Laura Platamone

Oggi come ospite per “Uno sguardo oltre la siepe” ho il piacere di avere Laura Platamone. Un editor professionista. La sua matita rossa è una minaccia contro la cattiva scrittura e la piaga dell’editoria a pagamento. Siete avvisati.

1 Chi è Laura Platamone per Laura Platamone?
È la persona che vorrebbe essere. O Almeno lo è oggi, del tutto convinta che ogni passo fatto, anche le cadute e gli inciampi, l’abbiano portata dove si trova adesso. In un posto, fisico o ideale, dove sta bene. Abbandonando la filosofia spicciola posso dire di essere una persona che è riuscita a completare un percorso, quello della sua formazione, e ora aspetta solo l’occasione giusta per dimostrarlo a quante più persone possibile. Mi ritengo fortunata per quello che ho e so che il resto arriverà. Non ho mai avuto fretta di riuscire o di ottenere dei risultati ma sono un’inguaribile ottimista e non mi lascio mai prendere dallo sconforto. Il tempo porta le soluzioni. Sempre. Quindi perché avere fretta?!

2 Fare l’editor in Italia non sembra un mestiere facile, come la vedi?
Le sorti di un editor, nel nostro Paese, seguono quelle di moltissimi professionisti della cultura: si confondono nell’approssimazione e nella scarsa conoscenza – da parte dei più – del settore. Che la maggior parte delle persone ignori totalmente l’esistenza di questa figura è un dato di fatto. La cosa impressionante è che anche gli stessi editori spesso facciano il loro mestiere in maniera improvvisata e senza un team di lavoro nel quale la presenza di un editor dovrebbe essere un elemento imprescindibile. Un altro punto riguarda la formazione. Come si diventa editor? Spuntano come funghi scuole che propongono corsi di editing, ma basta veramente un corso di poche lezioni per potersi offrire sul mercato vantando una professionalità tra le più complesse del sistema editoriale? La mia risposta è no, o almeno, non solo. Io stessa mi sono formata con un master biennale. Un corso lungo quindi, e lo stesso non sono certa che la sola frequenza delle lezioni mi avrebbe permesso di operare poi professionalmente nel settore. Il mio vero esame sono stati gli autori, lavorare con loro è stata la mia “iniziazione”. Ho iniziato facendo il giurato in alcuni concorsi e man mano che andavo avanti mi rendevo sempre più conto che in quello che leggevo c’erano aspetti che potevano essere migliorati per renderli più efficaci. Dal pensarlo all’intervenire il passo è stato breve. Eppure la linea di demarcazione tra farlo per mettersi alla prova, per curiosità, per dedizione o perché è il lavoro della tua vita, è davvero sottile. Nessuno a un certo punto mi ha messo un pezzo di carta in mano dicendo “ecco da questo momento in poi sei un editor”. È stato il continuo confronto tra me e gli altri che mi ha resa sempre più sicura delle mie capacità fino a convincermi che era il momento di mettermi sul mercato. Un mercato lavorativo – quello dell’editoria – nel quale non esistono regole, con i cancelli chiusi, nel quale inserirsi è davvero difficile. Io mi sono fatta aiutare molto da internet, dal mio blog, ho usato i Social Network come fossero una vetrina e in un certo senso ha funzionato. La mia carriera è iniziata da poco ma non posso lamentarmi.

3 Quando ti arriva un testo tra le mani quanto ci metti per accorgerti se chi l’ha scritto ha “stoffa” o meno?
In genere molto poco. Un editor professionista capisce le potenzialità di uno scritto o di un autore già da poche righe e diciamo che quando arriva a 10 cartelle la sua idea è piuttosto precisa. Ovvio che ho poi il dovere morale e professionale di lavorare allo stesso modo e con lo stesso impegno un testo che ritengo ottimo e uno che ritengo meno valido. Il mio ruolo è sempre quello di aiutare l’autore a dare il meglio di sé compatibilmente con il suo stile, la sua capacità di creare una trama e caratterizzare dei personaggi. Io lo aiuto a rendere al meglio il SUO testo e sottolineo suo perché un editor non è un ghostwriter, non è uno che a partire da un’idea o una traccia la riscrive di sana pianta. Io non intervengo mai al posto dell’autore piuttosto lo consiglio su come fare a dare il meglio con la materia che sta trattando.

4 Gli errori più ricorrenti degli scrittori italiani?
Gli errori in assoluto più frequenti sono il “qual è” con di mezzo l’apostrofo e il “po” con l’accento (usate l’immaginazione io non ci penso nemmeno a scriverli e la sola idea mi risulta rabbrividevole), seguono le d eufoniche, anche se qui più che di errore si potrebbe parlare di evoluzione della lingua e scarsa rapidità di adattamento. Un problema un po’ più complesso è rappresentato dalla scarsa padronanza dei contenuti a livello di trama: spesso l’autore, preso dall’impeto di voler raccontare la sua storia, dimentica aspetti anche fondamentali della trama o dei personaggi andando incontro a sviste clamorose che minano in maniera irreparabile la coerenza dello scritto.
Ma se proprio devo essere sincera, tutte le robe fin qui elencate possono facilmente essere corrette mentre c’è un errore che sfugge ad ogni controllo ed è il   sentirsi già scrittori ancora prima di iniziare. Partire con un atteggiamento di presunzione e supponenza. Dire io scrivo quindi sono uno scrittore come se il fatto che io canto sotto la doccia potesse far di me una cantante. E crederci, ci credono troppo, ci credono a priori. Ecco, questo è un errore grandissimo e spesso irreparabile.

5 Ti è mai capitato un testo “quasi” perfetto sul quale andavano apportate solo minime correzioni?
Certo che mi è capitato! Per fortuna non siamo circondati solo da pseudoscriventi ma ci sono tanti e tanti autori talentuosi che hanno stili interessanti e sanno come raccontare le loro storie e appassionare chi le legge. In questi casi il mio lavoro è sicuramente più semplice e piacevole!

6 Stephen King dice: Scrivere è umano. Editare è divino.
Io credo che sia divino tutto quello che si fa con passione e correttezza. Dal coltivare un campo a correggere un manoscritto, la natura profonda di una professione sta nell’intenzione di chi a fa e nei motivi per cui si intraprende un determinato mestiere. Detto questo sì, a volte avere la capacità di rendere nuova luce a un testo, far filare una frase che prima stentava, migliorare la resa di un’immagine o un personaggio, regala una sensazione che si avvicina parecchio all’onnipotenza!

7 Gli autori italiani, specie se agli esordi, spesso cadono vittima di editor improvvisati e agenzie letterarie di dubbia professionalità. Come ci si difende da queste trappole?
Ci si difende informandosi. Ormai nell’era di internet siamo tutti schedati quindi basta googlare per trovare tutte le info necessarie a non cadere in errore. Se non si ha la possibilità di cercare informazioni su internet nulla ci vieta di chiederle al diretto interessato. In fondo quando ci apprestiamo a investire i nostri soldi sul lavoro di un professionista abbiamo tutto il diritto di sapere chi è e come lavora. Chi tentenna o mette le mani avanti evidentemente non è così certo della sua competenza e professionalità. In quei casi meglio andare avanti e cercare qualcuno di più affidabile.

8 Perché scegliere Laura Platamone come editor?
Perché dico le cose come stanno. Non prospetto mai un percorso roseo solo per fare contento uno scrittore. Io sono schietta, se un testo ha tanti problemi li enumero uno per uno, senza risparmiare nulla. Non vendo correzioni di bozze come se fossero editing e mi esprimo sempre chiaramente su quali interventi andranno fatti sul testo, dall’autore sotto la mia guida. Credo molto nel rapporto che si instaura tra editor e autore, un rapporto che deve essere coltivato a fondo, un sodalizio di lavoro che spesso diventa anche personale. Conoscersi nel vero senso della parola, quando si lavora insieme a un testo, diventa parte fondamentale della collaborazione, specie quando questa dura mesi e mesi di intense corrispondenze e revisioni.
Questo aspetto, per me molto importante, viene percepito dagli autori come una garanzia dell’efficacia del mio operato.

9 Hai mai rifiutato un lavoro semplicemente perché era illeggibile? È dura dire a qualcuno: “Guarda, cambia mestiere.”
Ogni testo ha un suo margine di miglioramento, il mio lavoro non consiste nel trasformare un testo mediocre in qualcosa di eccellente ma di portarlo al massimo della sua forma possibile. Fatta questa premessa devo dire che in genere non mi è capitato di editare testi così pessimi da risultare illeggibili o non migliorabili. Certo alcuni lavori sono più complessi di altri ma tutto sta ad accettare l’idea che l’editing non è magia, non trasformerà in best seller un manoscritto, che sia buono o cattivo lo porterà solo alla sua forma migliore. Diverso è il discorso in caso di una scheda di valutazione. Spesso il mio lavoro parte proprio da quello. L’autore mi contatta perché ha scritto qualcosa e vuole sapere che ne penso prima di passare a un eventuale intervento di editing. In quel caso mi è capitato di dover essere “dura” con chi mi aveva commissionato il lavoro. Anche in questi casi le reazioni sono molto varie. C’è chi sparisce senza dire nulla, chi lo fa dicendo che sono un’incapace, che non capisco nulla, e chi accetta le critiche e si rende conto delle mie segnalazioni in maniera sportiva e costruttiva.

10 Se ti capitasse un testo eccezionale? Cosa diresti all’autore?
Gli direi quello che penso, ossia che quello è un testo eccezionale e che mai e poi mai dovrà permettere a qualcuno di fargli credere il contrario. Sono dell’idea che oggigiorno anche per un testo con tutte le carte in regola sia difficile farsi strada e arrivare a grandi successi e risultati, ma quando si è certi del valore di un’opera la cosa che in assoluto bisogna evitare è il lasciarsi perdere dallo sconforto. Bisogna avere pazienza e tanta. Purtroppo spesso gli scrittori emergenti ne hanno pochissima!

11 Capita spesso che chi scrive non si accorga di sviste colossali. Un editor che scrive è anche l’editor di se stesso?
Assolutamente NO. Io quando scrivo per me stessa sono una frana. Ho un occhio maniacale per ritmo e struttura ma non riesco a soffermarmi sui refusi.
C’è nell’immaginario collettivo quest’idea che un editor debba anche essere uno scrittore. Dirò di più: un bravo scrittore. Io non la penso così o almeno mi sembra riduttivo. È vero, a detta di molti, io so scrivere. Ma mi costa fatica farlo perché nell’editing si sviluppano manie e paranoie che applicate alla scrittura diventano vere e proprie psicosi. Io non riesco buttar giù tutto di getto facendo i conti alla fine come fanno molti scrittori. Per me ogni parola messa in riga deve essere perfettamente accordata con tutto il resto o non riesco ad andare avanti. Quindi scrivo lentamente e mi costa tanto tempo e fatica. Quando poi ho finito preferisco far leggere a qualcuno di mia fiducia piuttosto che ostinarmi a cercare una perfezione che da sola non troverei mai. Fa parte della natura umana e anche dei limiti della mia professione, nessuno, e dico nessuno, può avere un distacco tale dalle sue parole da essere scrittore ma anche editor di sé stesso. È lo stesso motivo per cui mi arrabbio quando sento tanti scrittori, più o meno noti, dire sì io sono scrittore ma faccio anche l’editor. Non si è ancora capito che sono professioni che presuppongono competenze diverse e non c’è alcuna intercambiabilità tra le due figure! Io ho fatto la mia scelta molto tempo fa pur essendomi avvicinata all’editoria da scrittrice ho capito subito che la mia strada non era quella e allora sono tata onesta con me stessa e con gli altri puntando su ciò che veramente sentivo affine.

12 Knife?
Knife è la rivista del Nero Cafè e, anche se è il risultato del lavoro di una squadra di persone che si impegna giorno dopo giorno per realizzarlo, mi piace definirlo la mia creatura. Sarà che mettere insieme tutti gli articoli, raccoglierli e impaginarli dà un senso di “maternità” sull’insieme che io sento davvero forte, sarà anche per le vicende che l’hanno visto nascere e crescere. Insomma Knife è la rivista di Nero Cafè ma mi rappresenta totalmente. È affilato e tagliente un po’ come lo sono io ma anche ricco di sentimento e contenuti per chi sa andare oltre la copertina. è uscito da qualche settimana il numero 3 e siamo già in piena lavorazione per il 4 che sarà un numero speciale con una tematica molto interessante e molto “italiana” (ma che non svelo!) che farà da traino alla prima pubblicazione del marchio Nero Press (sempre di proprietà del Nero Cafè), il romanzo “Exilium – La vera storia dell’Inferno di Dante” di Kim Paffenroth.

13 Cosa vuol fare da grande Laura Platamone?
Vorrei continuare a fare quello che faccio, con lo stesso entusiasmo, ma in un mondo diverso. Un mondo dove l’editoria non sia un circolo di intellettuali pseudo-radical-chic che annuiscono e si compiacciono a vicenda ma non danno in alcun modo spazio al merito di chi la professione la conosce davvero.

Grazie per essere stata mia ospite.

Grazie a te Antonio per lo spazio e l’opportunità che mi hai dato di parlare in maniera così approfondita di me e del mio lavoro!

Approfondiamo la sua conoscenza: Laura Platamone blog.

Sono Laureata in Tecnica Pubblicitaria e Belle Arti. Ho sempre saputo di voler “comunicare” ma per un bel po’ di tempo non ho avuto le idee chiare sul cosa o come. La scrittura però c’è sempre stata, in sordina, come modo per esprimere quello che di me non mi era chiaro. Tutti i pensieri confusi che, dall’infanzia fino all’età adulta, mi sono passati per la mente si precisavano per magia appena prendevano forma sulla carta. Questo ovviamente non faceva di me una scrittrice, ma solo un’ingenua appassionata. Però non ero malaccio, così per un po’ di tempo ho collaborato col quotidiano La Sicilia, scrivendo articoli di cultura, tendenza e spettacolo. E però quando si è uno spirito libero, ci si accorge presto che il lavoro di redazione presuppone compromessi che non sempre si è disposti ad accettare. La scrittura “mercenaria” al servizio di fatti, prodotti e notizie, non solo non rispecchiava quello che ero e volevo fare, ma frustrava le mie inclinazioni. A quel punto sapevo che volevo scrivere, ma non a quel modo e a quelle condizioni.

Che è successo poi? Niente, mi sono messa a insegnare perché nella vita s’ha da campare. La scrittura era tornata a essere una passione che coltivavo per me. Espressa al massimo in qualche considerazione sul mio blog. C’era gente che diceva che ero brava. C’era gente che si emozionava con le mie storie. Mie sul serio perché lì parlavo quasi esclusivamente di me.

Poi è iniziato il mio “periodo nero”. Ora va bene farsi i cazzi miei ma star qui a spiegarvi sarebbe davvero troppo. Vi basti sapere che a quel punto avevo dentro tanta di quella distruttiva emozione che solo la scrittura ha potuto salvarmi. E le pagine di un blog non bastavano più.

Contrariamente a quella che è la prassi, partire dai racconti per arrivare al romanzo, io ho scritto un romanzo. Ingenuo, incompleto, a distanza di anni addirittura patetico. Nessuno lo pubblicherà mai perché il suo posto è nel mio cassetto. Deve star lì perché comunque un suo senso ce l’ha. Quando ho messo la parola fine a quelle 150 cartelle di deliri da anima in pena, ho capito che mi ero liberata di un fardello che per anni aveva bloccato la mia capacità di riuscire a scrivere altro da me. E allora le storie hanno iniziato a parlarmi insieme a una moltitudine di altri personaggi che mi chiedevano di scrivere e scrivere, dargli voce in qualche modo. Ecco, ho iniziato a farlo.

Così sono arrivati i racconti, e i primi riconoscimenti.

A ben pensarci il primo piazzamento l’ho ottenuto con una poesia. Laura poetessa? No, ne ho scritta solo una, ma a quanto pare era materiale buono.

Poi, mentre inviavo racconti su racconti, è arrivata la svolta. Il momento in cui ho capito che la scrittura era stata solo un tramite per avviarmi alla strada che volevo percorrere davvero. Ad agosto del 2009 ho partecipato (selezionata insieme ad altre 29 persone tra più di 800 richieste) al primo Laboratorio di Scrittura Creativa Mondadori (potete trovare qui il diarietto semiserio di quei giorni)

Illuminazione. Sì, scrivere è bello ma l’editing lo è ancora di più!

Già da un po’ intrattenevo assidue conversazioni con altre scrittrici sparse sul web, hanno iniziato a inviarmi i loro romanzi e i loro racconti. Io li leggevo e segnalavo ciò che a mio avviso poteva essere migliorato. Mi piaceva. Molto più che scrivere, anche se alle mie storie non avrei mai rinunciato.

Così ho composto altri racconti, è arrivato il secondo posto al Nero Premio e la successiva richiesta da parte loro di entrare nella giuria. Gioia e goduria. Non potevano rendermi più felice. Armata di penna rossa ho iniziato quest’avventura. E di giurie se ne sono aggiunte altre, mentre certa di aver capito cosa chiedere alla vita, mi sono trasferita a Roma per frequentare la Luiss Writing School, un master in scrittura creativa con un indirizzo di editoria molto professionalizzante. Ho imparato a correggere le bozze come fa la gente seria e acuito ancora di più il senso critico nei riguardi dei testi.

Imparando come migliorare ciò che altri avevano scritto, anche quello che usciva dalla mia penna  ha iniziato a funzionare meglio e così è successo che adesso in qualche antologia è possibile trovare un mio racconto (troverete tutto nella sezione tracce di me quando prima o poi deciderò di mettere a posto anche quella).

Questa è, molto in generale, la mia storia. Spero, data la mia proverbiale distrazione, di non aver dimenticato nulla.

Ho tralasciato, ovviamente di parlarvi di tutta la serie di catastrofiche patologie che la svolta dell’editing mi ha causato. Perché quando l’occhio si educa alla caccia, questa diventa una costante imbarazzante. Lo ben sa chi si è ritrovato con me dentro una libreria o, meglio ancora, a qualche fiera. Io sono quella che apre i libri, trova un impaginato poco elegante e li richiude inorridita. Sono arrivata anche a farmi venire il mal di pancia per DUE punti esclamativi messi di fila. Piango per il triste destino di vedove e orfane. Ho un occhio millimetrico per il track. Ecco, ve l’ho detto. Ma solo dall’esplicitazione dei sintomi è possibile comprendere la mia missione. Io voglio intorno a me libri belli. Non solo per quello che dicono, ma anche per come si presentano. Aspetto che purtroppo la nostra editoria, e parlo di piccoli e grandi nomi, tralascia puntualmente. Ne converrete che è un’impresa difficile, ma io nel mio piccolo non ho paura di intraprenderla.