Il cielo si avvicinava sempre di più. Quando riuscii a mettere la testa fuori dal pozzo mi resi conto che non c’era nessuno, il paesaggio era desolato e umido, l’erba alta si piegava a un vento leggero. Il cielo era nuvoloso e carico di pioggia, ma nient’altro.
“Stefy, puoi salire è tutto tranquillo.”
Ci guardammo a lungo, sembravamo essere usciti da una fogna e a pensarci bene quel posto le assomigliava molto.
“Anto ma chi è stato a tirarci la scala?”
“Non lo so, ma qualcuno che ci vuole un gran bene, no?”
“Cos’è questo rumore?”
Qualcosa strisciava fra l’erba alta, veniva verso di noi.
“Spero solo che sia il nostro benefattore.” gli risposi.
L’erba si piegava, qualcosa la stava attraversando, ma non si vedeva nient’altro, uno spirito pensai, qualcosa di invisibile procedeva con passo spedito.
“Demon. Ehi cucciolo vieni qua.”
Era il mio fido amico, con la coda penzolante, la bocca semiaperta e gli occhi lucidi; sembrava quasi che stesse sorridendo, e forse lo faceva davvero. Lo abbracciai con tutta la forza che avevo, mentre lui mi leccava il viso; anche Stefy si chinò per accarezzarlo. Restammo lì accucciati per terra a coccolare Demon; era vivo e respirava e a me solo quello interessava. Raggiungemmo l’auto; era ancora sul ciglio della strada, e tornammo a casa. Dal cassetto in camera da letto presi ed indossai un costume arancione, diedi un costume a due pezzi anche a Stefy; era di mia madre e gli andava un po’ largo, ma era l’unico che avevo trovato.
Uscimmo fuori e dietro la casa facemmo la doccia sotto una leggera pioggia. La doccia era all’aperto; in casa non c’era, anche perché la casa era abitata solo d’estate. Giocammo e ci divertivamo schizzandoci l’acqua; eravamo felici, come se gli incubi fossero scomparsi dalla nostra mente. Stefy si sciolse la lunga treccia mostrando una chioma invidiabile, l’agitava con una naturalezza sconcertante. Finita la doccia rientrammo in casa per gli ultimi preparativi, ci vestimmo e prendemmo le valigie. Dovevamo andare a Sorrento, e bisognava sbrigarsi. Non avevamo più i cellulari, e non ricordavamo i numeri dei nostri amici, l’unica cosa da fare era raggiungerli. Prima di uscire di casa, chiamai i carabinieri, li informai sul ritrovamento in un pozzo naturale dello scheletro, in località Spineto. Poi riattaccai senza fornire generalità. Volevo che le ossa del padre avessero una degna sepoltura.
“Spineto?” chiese Stefy
“Sì, è questo parco, tutta la collina si chiama così.”
SORRENTO
Stefy siamo quasi arrivati, fra poco dovremo proseguire a piedi.
“Demon, basta. Ci stai uccidendo l’anima” urlai.
Aveva abbaiato per tutto il viaggio.
“Stefy, parcheggiamo l’auto vicino quel pino e proseguiamo a piedi. La strada fra un po’ diverrà impraticabile.”
“Va bene, muoviamoci.”
“Demon, resta in macchina e fai buona guardia.”
Decisi di non portare il mio amico a quattro zampe, era più al sicuro dov’era.
Salendo lo stretto sentiero notai una macchina nera parcheggiata. Mi sembrava quella di Ricky.
“Stefy sono qui, allunghiamo il passo.”
Arrivati in cima vidi la casa che da bambini ci aveva terrorizzati, ma dei ragazzi nessuna traccia.
“Stefy sei pronta a entrare?”
“Sì, ma facciamo attenzione.”
“Ehi, ciao ragazzi.” disse Ricky uscendo insieme a Dany dalla casa.
“Come mai qui?” chiese Dany.
“Siamo venuti a chiudere un incubo cominciato dodici anni fa.” replicai.
“Dov’è Marco” chiese Stefy.
“È andato in albergo.” rispose Dany.
“Ah, davvero?” apostrofò Stefy.
“Sì, proprio così” farfugliò Ricky.
“Buon per lui, andiamo Stefy, entriamo.”
“No… aspettate. Senza fretta.” disse Ricky.
“Dobbiamo entrare.” urlò Stefy.
Ricky afferrò Stefy per un braccio. “Ho detto non ancora.”
“Ma che cazzo fai? Levati dai piedi.” strillò Stefy.
Ero a dir poco nervoso, la calma di Ricky era disarmante. Presi Stefy per una mano ed entrammo nella casa. Sul pavimento notammo una botola coperta da un masso enorme. Senza non pochi sforzi riuscimmo a spostarlo.
Appena aperta la botola fummo investiti ad un insopportabile odore di chiuso. Notammo delle scale che scendevano chissà dove.
“Anto, guarda.” disse Stefy mostrandomo il mio Zippo.
“Ehi, ma come…”
“Quando eravamo nel pozzo l’ho trovato, ti sarà caduto nella colluttazione.”
Arrossii, in quell’occasione stavo quasi per ammazzarla.
“Grazie Stefy.”
Accesi l’accendino e iniziammo a scendere lungo passaggio angusto.
“Stefy sono sicuro che Marco si trovi qui sotto… non so…ma… me… lo sento.”
“Lo penso anch’io.”
Le scale non sembravano aver fine. In un paio di occasioni rischiai di incespicare sui gradini logori e spigolosi. Arrivati in fondo vidi un lungo corridoio, o almeno quello sembrava. La fioca luce dell’accendino non mi permetteva di guardare molto lontano. Proseguendo vidi una luce in lontananza, era lontana, ma intensa come un faro accesso nella notte. Una torcia elettrica era riversa sul pavimento vicino un piccolo scheletro, forse quello di un bambino. Non poteva essere Marco. Diedi la torcia a Stefy e la incitai ad allungare il passo. Lei si chinò sullo scheletro.
“Allora che facciamo, andiamo?”.
“S… Sì.” mi rispose.
Corremmo, non c’era tempo da perdere, volevo con tutto me stesso scoprire cosa si celava in quel luogo. Udimmo quello che non avremmo mai voluto sentire. Ci fermammo, come anche i passi alle nostre spalle. Un ululato ci gelò il sangue. Era il lupo del cimitero, non potevo vederlo per via dell’oscurità, ma ne ero certo.
“Stefy Corri.”
Continua…