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Gli occhi del male. Romanzo a puntate (diciottesima parte)


corridoio buio angusto terrificanteIl cielo si avvicinava sempre di più. Quando riuscii a mettere  la testa fuori dal pozzo mi resi conto che non c’era nessuno, il paesaggio era desolato e umido, l’erba alta si piegava a un vento leggero. Il cielo era nuvoloso e carico di pioggia, ma nient’altro.
“Stefy, puoi salire è tutto tranquillo.”
Ci guardammo a lungo, sembravamo essere usciti da una fogna e a pensarci bene quel posto le assomigliava molto.
“Anto ma chi è stato a tirarci la scala?”
“Non lo so, ma qualcuno che ci vuole un gran bene, no?”
“Cos’è questo rumore?”
Qualcosa strisciava fra l’erba alta, veniva verso di noi.
“Spero solo che sia il nostro benefattore.” gli risposi.
L’erba si piegava, qualcosa la stava attraversando, ma non si vedeva nient’altro, uno spirito pensai, qualcosa di invisibile procedeva con passo spedito.
“Demon. Ehi cucciolo vieni qua.”
Era il mio fido amico, con la coda penzolante, la bocca semiaperta e gli occhi lucidi; sembrava quasi che stesse sorridendo, e forse lo faceva davvero. Lo abbracciai con tutta la forza che avevo, mentre lui mi leccava il viso; anche Stefy si chinò per accarezzarlo. Restammo lì accucciati per terra a coccolare Demon; era vivo e respirava e a me solo quello interessava. Raggiungemmo l’auto; era ancora sul ciglio della strada, e tornammo a casa. Dal cassetto in camera da letto presi ed indossai un costume arancione, diedi un costume a due pezzi anche a Stefy; era di mia madre e gli andava un po’ largo, ma era l’unico che avevo trovato.
Uscimmo fuori e dietro la casa facemmo la doccia  sotto una leggera pioggia. La doccia era all’aperto; in casa non c’era, anche perché la casa era abitata solo d’estate. Giocammo e ci divertivamo schizzandoci l’acqua; eravamo felici, come se gli incubi fossero scomparsi dalla nostra mente. Stefy si sciolse la lunga treccia mostrando una chioma invidiabile, l’agitava con una naturalezza sconcertante. Finita la doccia rientrammo in casa per gli ultimi preparativi, ci vestimmo e prendemmo le valigie. Dovevamo andare a Sorrento, e bisognava sbrigarsi. Non avevamo più i cellulari, e non ricordavamo i numeri dei nostri amici, l’unica cosa da fare era raggiungerli. Prima di uscire di casa, chiamai i carabinieri, li informai sul ritrovamento in un pozzo naturale dello scheletro, in località Spineto. Poi riattaccai senza fornire generalità. Volevo che le ossa del padre avessero una degna sepoltura.
“Spineto?” chiese Stefy
“Sì, è questo parco, tutta la collina si chiama così.”

SORRENTO

Stefy siamo quasi arrivati, fra poco dovremo proseguire a piedi.
“Demon, basta. Ci stai uccidendo l’anima” urlai.
Aveva abbaiato per tutto il viaggio.
“Stefy, parcheggiamo l’auto vicino quel pino e proseguiamo a piedi. La strada fra un po’ diverrà impraticabile.”
“Va bene, muoviamoci.”
“Demon, resta in macchina e fai buona guardia.”
Decisi di non portare il mio amico a quattro zampe, era più al sicuro dov’era.
Salendo lo stretto sentiero notai una macchina nera parcheggiata. Mi sembrava quella di Ricky.
“Stefy sono qui, allunghiamo il passo.”
Arrivati in cima vidi la casa che da bambini ci aveva terrorizzati, ma dei ragazzi nessuna traccia.
“Stefy sei pronta a entrare?”
“Sì, ma facciamo attenzione.”
“Ehi, ciao ragazzi.” disse Ricky uscendo insieme a Dany dalla casa.
“Come mai qui?” chiese Dany.
“Siamo venuti a chiudere un incubo cominciato dodici anni fa.” replicai.
“Dov’è Marco” chiese Stefy.
“È andato in albergo.” rispose Dany.
“Ah, davvero?” apostrofò Stefy.
“Sì, proprio così” farfugliò Ricky.
“Buon per lui, andiamo Stefy, entriamo.”
“No… aspettate. Senza fretta.” disse Ricky.
“Dobbiamo entrare.” urlò Stefy.
Ricky afferrò Stefy per un braccio. “Ho detto non ancora.”
“Ma che cazzo fai? Levati dai piedi.” strillò Stefy.
Ero a dir poco nervoso, la calma di Ricky era disarmante. Presi Stefy per una mano ed entrammo nella casa. Sul pavimento notammo una botola coperta da un masso enorme. Senza non pochi sforzi riuscimmo a spostarlo.
Appena aperta la botola fummo investiti ad un insopportabile odore di chiuso. Notammo delle scale che scendevano chissà dove.
“Anto, guarda.” disse Stefy mostrandomo il mio Zippo.
“Ehi, ma come…”
“Quando eravamo nel pozzo l’ho trovato, ti sarà caduto nella colluttazione.”
Arrossii, in quell’occasione stavo quasi per ammazzarla.
“Grazie Stefy.”
Accesi l’accendino e iniziammo a scendere lungo passaggio angusto.
“Stefy sono sicuro che Marco si trovi qui sotto… non so…ma… me… lo sento.”
“Lo penso anch’io.”
Le scale non sembravano aver fine. In un paio di occasioni rischiai di incespicare sui gradini logori e spigolosi. Arrivati in fondo vidi un lungo corridoio, o almeno quello sembrava. La fioca luce dell’accendino non mi permetteva di guardare molto lontano. Proseguendo vidi una luce in lontananza, era lontana, ma intensa come un faro accesso nella notte. Una torcia elettrica era riversa sul pavimento vicino un piccolo scheletro, forse quello di un bambino. Non poteva essere Marco. Diedi la torcia a Stefy e la incitai ad allungare il passo. Lei si chinò sullo scheletro.
“Allora che facciamo, andiamo?”.
“S… Sì.” mi rispose.
Corremmo, non c’era tempo da perdere, volevo con tutto me stesso scoprire cosa si celava in quel luogo. Udimmo quello che non avremmo mai voluto sentire. Ci fermammo, come anche i passi alle nostre spalle. Un ululato ci gelò il sangue. Era il lupo del cimitero, non potevo vederlo per via dell’oscurità, ma ne ero certo.
“Stefy Corri.”

Continua…

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Gli occhi del male. Romanzo a puntate (diciassettesima parte)


voodoo_2094713i“Siamo qui.” urlai.
“Aiutateci.” aggiunse Stefy.
“Ragazzi ma che ci fate laggiù?” rispose una voce.
Era Stella, il tono squillante di voce, se pur filtrato e deturpato dalla profondità del pozzo era inequivocabile.
“Stella aiutaci, non possiamo salire.” le dissi.
“Aiutarvi? Ahahaha…”
Una risata satanica proveniente da sopra le nostre teste ci mise i brividi.
“Che cosa vi fa pensare che vi voglia aiutare.”
Continuava a ridere mentre parlava.
Un brivido freddo partì dalla punta dei piedi e proseguì fino alla punta dei capelli.
Stella per tutto il tempo ci aveva messo fuori strada, mi aveva indirizzato alla chiesa, sapendo che non avrei trovato Padre Alfonso, fu solo per pura coincidenza che il padre mi apparve; quando gli avevo chiesto dove abitava il padre, mi aveva portato su una falsa strada, indicandomi la casa di quello sbagliato, inoltre che ci faceva in tarda notte da sola giù in paese?
“Stella ma che dici? Aiutaci a uscire da qui.”
“Ahahahah… Antonio adesso sei mio.”
“Cosa?” bisbigliò Stefy. “Sei suo?” ma cosa vuole questa?”
“Questa sarà la vostra tomba, vi seppellirò in questo posto.”
“Ehi, ma sei impazzita.” urlai.
“No, forse hai ragione, ho deciso di mantenervi in vita fino a quando non mi sarò divertita abbastanza.”
“Cosa?”
“Che puttana sadica.” borbottò Stefy.
“Ciao piccioncini, a dopo… Stefy è tutto tuo…”
“Ma questa è pazza.” disse Stefy.
“No. È il male.” le risposi.
“Anto e adesso che facciamo?”
“Dobbiamo trovare il modo di uscire da questo posto.”
“Come pensi di fare.” replicò lei.
“A mani nude non c’è la faremo mai a scalare la parete fin lassù, dobbiamo trovare un’alternativa.”
Presi dalla tasca il cellulare… era inservibile. Stefy fece lo stesso, e un secondo dopo lo butto via. Ci guardammo con aria affranta, ma sapevamo che cellulare e acqua non andavano d’accordo.
“Ok, Stefy ritorniamo indietro.”
Il cuore della grotta era buio, non riuscivo a vedere a un palmo dal mio naso, tenevo Stefy con la mano, per evitare di perderci.
“Anto, ma qui non si vede niente.”
“Lo so, ma è meglio stare in movimento e trovare una via d’uscita che rimanere ad aspettare il ritorno di Stella, no?”
Mentre procedevamo a tastoni, per cercare di farci un idea della morfologia della grotta, sentivo la mano di Stefy sempre più fredda, era normale, faceva un freddo pazzesco, inoltre eravamo ancora inzuppati fradici. Il buio era pesto, non si vedeva niente.
“Aspetta Stefy, proviamo con l’accendino.”
Si era bagnato, ma cosa avevamo da perdere? Niente, lo zippo non ne voleva sapere di accendersi, la pietrina che avrebbe dovuto procurare la scintilla era bagnata. Poi fu luce, il continuo sfregare della rotella metallica aveva asciugato la pietra.
Il mio urlo echeggiò nella caverna come una condanna.
La mano che stringevo non era di Stefy, ma di Stella, di fronte alla fioca luce dell’accendino mi guardava con un sorriso sadico. La mia reazione fu immediata; Partii con una ginocchiata nella stomaco, per poi afferrarle il collo. Eravamo per terra, la tenevo, volevo strangolarla. Il male deve respirare per essere sconfitto, volevo che smettesse di respirare, volevo sconfiggere il male, ma soprattutto volevo vivere. Un dolore lancinante proveniente dall’inguine mi mise a sedare i miei intenti, caddi di spalle nel terreno fangoso, non riuscivo a rialzarmi per il tanto dolore, pensai che sarebbe stata la fine. “Adesso mi uccide.” pensai.
“Ma che cazzo fai? Vuoi ammazzarmi?” urlò una voce.
Cavolo era Stefy, stavo uccidendo Stefy, avevo avuto un’allucinazione è stavo uccidendo la mia amica.
“Scusami non volevo.”
“Non volevi? Ma ti sei bevuto il cervello?”
Avevo fatto qualcosa di imperdonabile, eppure ero sicuro di aver visto Stella.
“Stefy credo di impazzire, non volevo, non volevo.”
Caddi in un pianto silenzioso, Stefy vista l’oscurità non poteva vedere, eppure stavo piangendo. Cercai di pulirmi il viso, ma il fango che avevo sulle mani non fece altro che peggiorare la situazione, continuavo a lacrimare. Mi alzai in piedi e con voce rauca chiesi:
“Stefy, dove sei?”
La risposta non si fece attendere, sentii le sue mani toccarmi il viso.
“Che fai stai piangendo?”
“È l’acqua, qui è tutto bagnato.”
Ci abbracciamo seduti nel fango avvolti dall’oscurità.
“Tan Tan Tan…”.
Un rumore attirò la nostra attenzione, qualcosa era caduto nel pozzo. Avevo paura, la prima cosa che mi venne in mente fu Stella.
Ci rialzammo, e tastando le pareti della caverna riuscimmo a trovare l’angusto passaggio che conduceva all’apertura del pozzo. Avanzando riuscivamo a vedere sempre più la luce. Arrivati all’imbocco della caverna potemmo vedere cosa aveva causato il trambusto.
Una scaletta di quelle pieghevoli, fatta di legno e fune era caduta dal cielo. Tirai un po’ la scala per rendermi conto se era fissata alla sommità del pozzo, lo era. Qualcuno ci aveva calato una scala. Guardai Stefy, era attonita.
“Stefy facciamo così, salgo prima io e poi tu, ok?”
“Che cavaliere, eh?”
“È solo che non vorrei che la scala ci sia stata calata da Stella, non voglio che ti succeda qualcosa, non me lo perdonerei.”
Iniziai a salire su per la scaletta penzolante, ad ogni passo che facevo, mi aspettavo di veder sbucare dall’apertura in alto il volto di Stella, il sol pensiero mi terrorizzava.

Continua…

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Antonio Ferrara intervista Micol des Gouges


micol

Micol des Gouges

Oggi rimando la pubblicazione della diciassettesima parte del romanzo “Gli occhi del male” per lasciare spazio a una giovanissima, talentuosa e misteriosa autrice che a soli diciannove anni esordisce a quattro mani insieme a un maestro del calibro di Danilo Arona, con il romanzo L’autunno di Montebuio.

1 Chi è Micol des Gouges per Micol des Gouges?

Micol des Gouges è una delle parti in cui sono frammentata e che ogni tanto viene a galla.

2 Come ti è venuta in mente la follia di scrivere?

È davvero una follia! La scrittura è un istinto, ti prende e non puoi far nulla per resisterle. Come con tutte le passioni, puoi solo cederle. Ed è giusto che sia così! È una delle attività umane più liberatorie e belle.

3 Esordire a quattro mani con un maestro come Danilo Arona non è da tutti, figuriamoci convivere con il suo alter ego Morgan Perdinka. Come hai fatto?

Sono stata coraggiosa! È stata una esperienza fondamentale, iniziatica. Danilo, e l’ombra di Perdinka dietro di lui, sono entità stimolanti, forse un po’ inquietanti. Ma è una delle migliori persone che conosca e gli sarò grata a vita!

4 Edizione cartacea o eBook?

Sono un’affezionata del cartaceo, permette un rapporto sensoriale completo con il libro però capisco anche che l’eBook, oltre ad essere il futuro, dia molti vantaggi, come la possibilità di avere sempre con sé un vero e proprio archivio di libri.

5 I prossimi tuoi lavori letterari si concentreranno sempre sul lato oscuro delle cose? Hai un debole per la bara traballante?

Ho un debole per il lato oscuro delle anime, per i meandri bui nei quali rinchiudiamo i nostri segreti, le vergogne, i desideri difficili da accettare. L’umanità è horror!

6 Stephen King sostiene che: Uno scrittore competente si possa trasformare in un bravo scrittore, ma che un cattivo scrittore non possa diventare un bravo scrittore.

Un cattivo scrittore è condannato: ha l’istinto che lo porta a scrivere ma non la capacità per farlo bene, un tormento (per lui che scrive e per chi lo legge!). Uno competente ha la possibilità di diventar bravo, ma la competenza non è tutto.

7 Vivere di scrittura? Che ne pensi?

Che se fosse possibile, e l’ispirazione fosse meno capricciosa, sarebbe un sogno.

8 Sei molto giovane e mi piacerebbe sapere  cosa nei pensi dei social networks e della televisione. Come li vedi nella vita di uno scrittore?

La televisione ha ben poco a che fare con gli scrittori e con la cultura in generale. È un peccato. I social networks possono essere un valido strumento di informazione, diffusione, se usati con abilità.

9 Parlami dell’autunno di Montebuio.

L’Autunno di Montebuio parla dei tredici giorni di ottobre che, nel 1962, portarono il mondo sulla soglia di una guerra nucleare, terrorizzandolo. Giorni di incertezza, confusione, paura che furono vissuti da tutti, dagli adulti e dai bambini. Proprio i bambini sono i protagonisti di questa storia, la sua voce narrante, bambini allontanati dalle notizie di quei terribili giorni con false rassicurazioni, ma non per questo salvaguardati e protetti dal terrificante clima di tensione. E nemmeno al sicuro da eventi ben più strani.

10 Come scrivi? Quando scrivi? Dove scrivi?

Scrivo completamente isolata, di solito nella mia camera, il mio tempio, nella penombra, con musica quasi inudibile oppure a un volume spropositato. Non posso scrivere sempre ma solo quando mi sento richiamata dalla storia, altrimenti ogni tentativo è frustrante e inconcludente.

11 Qualche anticipazione sul tuo prossimo lavoro letterario?

Montebuio ha ancora molto da svelare…

12 A scuola insegnanti amici cosa ti dicono della tua esperienza letteraria? Ci sono ancora molti pregiudizi nei confronti dei romanzi horror?

Sono tutti entusiasti! Io cerco di mantenere un certo contegno, mentre gli altri si lasciano andare del tutto. Qualcuno mi ha guardato un po’ interrogativo quando ho parlato delle tematiche del libro, l’horror è spesso visto con diffidenza, ma li ho spinti a leggerlo: c’è sempre tempo per infrangere un pregiudizio.

13 Cosa vuol fare da grande Micol des Gouges?

Vivere il momento e scrivere tanto.

Grazie per essere stata mia ospite.

Vai alla scheda del libro: L’autunno di Montebuio


Gli occhi del male. Romanzo a puntate (sedicesima parte)


pozzo“Anto, ma cosa hai fatto?”
“Che domanda Stefy, sono inciampato è caduto, no?”
“Scusa, eh… stai bene?”
“Più o meno, qualche graffio e un po’ di dolore alla gamba destra”
“Hai visto dove è andato il bambino?” gli chiesi.
“Lo vedo adesso.”
La figura era a pochi metri dietro le mie spalle. Il tempo di voltarmi e riprese a correre.
“Stefy, prendilo.”
“Anto corri.”
Il bambino correva come un ossesso attraverso l’alta vegetazione e non saremmo riusciti a tenere il passo per molto. La gamba mi faceva male, ma dovevo seguirlo, non potevo permettermi il lusso di perderlo. Mi disinteressai anche di Stefy, la fame di sapere non conosceva ostacoli. Caddi e rialzandomi vidi Stefy al mio fianco.
“Lo abbiamo perso?” gli chiesi.
“Credo proprio di sì.” mi rispose.
“Stefy ma questo posto cosa ti sembra?”
“Un lago in secca, una sorta di conca.”
“E’ il luogo del sogno di Marco, ne sono sicuro.”
“Ahhh…”
“Stefy dove sei? Stefy? Stefaniaaa…”
Era scomparsa nel nulla, un attimo prima era dietro di me. Iniziò a piovere, la fortuna non era di certo dalla nostra parte. Vidi una sorta di apertura, avvicinandomi notai che era molto profonda, non riuscivo a vedere niente, ero sicuro che Stefy si trovasse sul fondo.  La cosa più logica da fare era andare a cercare una corda per poi calarsi nell’apertura, ma dove avrei trovato una corda in quella radura? E se poi Stefy era ferita? Se lì giù non fosse stata sola? E se… Tirai un lungo sospiro e mi gettai nel pozzo.    Passarono un paio di interminabili secondi, poi il tonfo. Aprendo gli occhi notai di essere circondato d’acqua, mi arrivava fino al collo. Alzando lo sguardo vidi alla sommità del cratere uno squarcio di cielo nuvoloso, la pioggia mi cadeva sul viso attraverso l’apertura ripulendomi dal fango. Mi alzai, l’acqua mi arrivava in vita. Di fronte a me si faceva strada un cunicolo avvolto dalle tenebre. Pensai che una volta entrato la poca luce proveniente dall’apertura non avrebbe potuto accompagnarmi.
“Stefy” urlai.
“Stefyyy…” rispose l’eco della mia voce.
Incamminandomi lungo l’angusta apertura fui avvolto dall’oscurità e girandomi potei vedere poco distante il riflesso sull’acqua torbida della luce proveniente dalla sommità del pozzo. Non avrei potuto proseguire senza luce, tirai fuori lo zippo dalla tasca e cercai di accenderlo; niente, era inzuppato fradicio, non si sarebbe mai acceso.
Decisi di proseguire al buio appoggiandomi alle anguste pareti della grotta e toccandole mi accorsi che trasudavano acqua, erano grezze, sembrava roccia vulcanica, ma non ci avrei giurato. In lontananza scorsi una luce fioca e allungai il passo per arrivare in una sorta di grande cavità circolare.  La luce proveniva da una torcia accesa sulla parete, l’acqua l’aveva quasi raggiunta. Tutto l’ambiente era semisommerso. Sentii l’acqua muoversi dietro di me, qualcosa si stava avvicinando alle mie spalle, non feci neanche in tempo a girarmi che un’ombra mi colpì la schiena, poi alla testa, fui spinto sott’acqua. Qualcosa mi tratteneva, voleva annegarmi, riuscii in qualche modo a divincolarmi e riemergere.
“Stefy, ma che cazzo fai?”
“Scusa Anto non ti avevo riconosciuto, avevo paura ed ho attaccato.”
“Mi stavi quasi per ammazzare.”
Lei aveva il volto ricoperto di fango, i lunghi capelli legati le ricadevano nell’acqua.
“La forma prescelta… Il male deve diventare come noi per combattere la sua battaglia…” pensai.
La situazione era chiara, non potevo fidarmi nemmeno di Stefy. La dovevo tenere d’occhio.
“Stefy questo posto tra meno di un’ora sarà pieno d’acqua.”
“Possiamo usare quella torcia sulla parete per fare un po’ di luce” rispose
“Buona idea, prendiamola.”
“Anto, mi è sorto un dubbio, ma come fa quella torcia a essere accesa? Chi è stato a venire qui giù ad accenderla? E soprattutto… dov’è?”.
Mi assalì un senso d’ansia terribile, una torcia accesa in una sorta di pozzo semisommerso, la cosa non mi piaceva, inoltre l’ambiente era molto buio, potevamo non essere soli, e non mi fidavo più di Stefania.
“Stefania, prendiamo la torcia e cerchiamo di uscire di qui alla svelta.”.
“Anto, come mai mi hai chiamato Stefania, non lo hai mai fatto?”
La guardai, anche se eravamo molto vicini, riuscivo a vedere solo metà del suo viso, quello illuminato dalla torcia sulla parete. l’acqua continuava a salire. Restammo in silenzio per un po’. Cercavo di razionalizzare il tutto, ma non c’era proprio niente a cui appigliarsi.
“Stefy siamo al limite, non c’è la faremo.”.
“Anto non abbandoniamo le speranze”.
Io e Stefy eravamo sommersi fino al collo, con la torcia riuscivo a vedere il soffitto della caverna, era a circa un metro da noi, non credevo di farcela, dalla grotta non c’erano uscite oltre quella da cui eravamo entrati, pensavo che sarebbe stata la fine. In me non c’era rimasto nemmeno un po’ d’ottimismo.
“Anto, possiamo dirigerci a nuoto verso l’apertura, aspettando che l’acqua salga per raggiungere la sommità del pozzo.”
“Stefy sei un genio.”.
L’acqua iniziò a defluire, scendeva… era come se qualcuno avesse tolto il tappo di un grande lavandino. L’acqua andò via lasciando uno strato di fango.
“È un miracolo.” urlai.
“Sì, siamo salvi.” rispose Stefy.
A pochi passi da noi giaceva una cassa di legno fradicia, era chiusa con grossi chiodi arrugginiti. Un po’ di forza bastò per aprirla, il legno era marcio. All’interno della cassa un mucchio d’ossa semisommerso dalla fanghiglia, quello che rimaneva di uno scheletro umano.
“Stefy, scommetto che si tratta di…”.
“Padre Alfonso.” concluse lei.
“Ancora l’odore di santità. Lo senti Anto?”
La torcia che avevo fra le mani si spense, come se qualcuno ci avesse soffiato sopra.
“Mi avete liberato e ve ne sarò grato per sempre.”
Un canto angelico echeggiava nella grotta, davanti a noi si andò materializzando la figura di padre Alfonso; era quasi trasparente ed emanava una fioca e calda luce azzurra, i contorni della caverna furono investiti dai fasci di luce; sembrava di stare in paradiso.
“Padre, mi faccia indovinare. Lei era un’anima del purgatorio che non riusciva a trovare pace?” gli chiesi.
“Sì. Proprio così. Non finirò mai di ingraziarvi per quanto avete fatto, ora potrò compiere il lungo viaggio verso la terra promessa. Il vostro amico è in pericolo, dovete aiutarlo, da solo non può sconfiggere il male, come io non ho potuto tanti anni fa; ho dovuto aspettare per anni prima di poter assaporare l’eternità. Nel frattempo sono rimasto intrappolato qui.”
“Padre ma allora ci ha mentito?”.
“Ho dovuto. Antonio avevi bisogno di un incoraggiamento, di fiducia, di qualcuno che ti responsabilizzasse. Se ti avessi detto che combattendo con il male ci avevo rimesso la vita, ti saresti scoraggiato, e con tutta probabilità non saresti qui in questo momento.”
“Padre, e il bimbo? Chi è?”
“Un’anima vagante, non ha trovato ancora pace.”
“Dovete aiutarlo, aiutando lui aiuterete anche voi stessi. Solo la forza e l’amore che vi unisce possono sconfiggere il male.”
“Padre ma adesso che facciamo?”
“Trovate il vostro amico e cercate di sopravvivere. Io vi starò vicino, ma non potrò intervenire in nessun modo, il lavoro sporco spetta a voi.”
“Di quale lavoro sporco sta parlando?”
La luce si affievolì. Per poi scomparire del tutto. Misi il piede su qualcosa di solido, era il mio accendino, forse caduto durante l’allagamento della grotta.
“Antonio… Antonio…”
Una voce proveniva dal cunicolo che avevamo percorso per arrivare al cuore della caverna. Corremmo attraverso l’apertura.

Continua…

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Gli occhi del male. Romanzo a puntate (quindicesima parte)


lupo-rincorre-bimbo“Ragazzi… Ragazzi… ehi sveglia.”
Aprendo gli occhi fui accecato da una luce intensa, sopra di me un ombra alquanto singolare, un uomo vestito con una tuta blu e folta barba mi osservava da vicino.
“Ehi, sei vivo.”
Il suo alito era pesantissimo, sembrava che si fosse scolato un’intera enoteca.
“Ehi, mi stia lontano.” gli urlai.
Cercai di rimettermi in piedi, ero umido, e sporco di terra ed erba.
Aiutai anche Stefy a rialzarsi, era frastornata quanto me.
“Cos’è successo?” chiesi all’uomo.
“Dove siamo?” aggiunse Stefy.
“Cos’e successo dovreste dirmelo voi. Siete nel cimitero e stavate dormendo.” replicò l’uomo con la barba.
“Ci scusi ma…” disse Stefy.
“Ma siete pazzi. Che cosa volevate fare? Dissotterrare qualcuno?”
“Niente di tutto questo, siamo rimasti chiusi nel cimitero, e non potendo fare altro ci siamo addormentati.” gli risposi.
“Non mi convince. Ma a chi volete prendere in giro. Mica sono uno stupido io.”
“Nessuno ha detto una cosa del genere.” disse Stefy
“Adesso basta. Chiamo i carabinieri e poi vediamo… Io sono il custode di questo cimitero, e quindi il responsabile.”
“No, per carità. Non chiami la polizia, se lo fa l’accuseranno di non essere un buon guardiano e la faranno licenziare; mettiamoci una pietra su, noi non abbiamo toccato niente, ci lasci andar via, sarà conveniente per tutti, non crede?” gli dissi.
“Filate. E niente più scampagnate nel cimitero, se vi ribecco ve la faccio pagare e togliete quella macchina dall’ingresso.” urlo l’uomo in lontananza.
Il cancello era aperto e l’auto era dove l’avevamo lasciata.
“Io ho bisogno di un caffè.”
“Vada per il caffè” rispose Stefy.
Arrivati in paese, notammo un bar che stava aprendo; il grande orologio del campanile segnava le 6:30.
“Due caffè per favore” chiesi al cameriere.
“Signore la macchina è stata appena accesa, il caffè potrebbe non essere ottimo.” rispose
“Non si preoccupi, come stiamo adesso potremmo bere di tutto.” aggiunse Stefy.
Eravamo in un modesto bar di paese seduti ad aspettare un caffè, una situazione comune a tante altre, se non fosse stato per gli avvenimenti della notte.
“Stefy quella voce alle nostre spalle era padre Alfonso, ne sono sicuro.”.
“Che paura, sono svenuta quando il bambino ci è passato attraverso.”
“Sei sicura? Possibile che non me ne sia accorto?”
Squillò il cellulare.
“Pronto?”
“Anto, sono Marco, come và?”
“Non te ne parlo proprio, i nostri incubi si stanno materializzando.”
“Chi è?” chiese Stefy.
“Marco.” le sussurrai posando la mano sul microfono del cellulare.
“Siamo appena reduci da un simpatico incontro con non so che cosa. Tu come te la passi?” gli dissi.
“Qui è un casino. Ho avuto altri sogni premonitori.” rispose
“Marco adesso non è il momento.” tagliai corto.
“Credo che invece sia importante.” replicò lui.
“Ok dimmi tutto.”
“Mi trovavo in una radura, una sorta di terreno che una volta ospitava uno stagno, lo si capiva dalla forma circolare e profonda, e dalla vegetazione, per lo più canne di bambù, inoltre il terreno era fangoso. Mentre ero fra l’erba alta, sono caduto, credo in una sorta di pozzo naturale. In fondo all’apertura mi è apparso un uomo calvo, vestito in modo strambo, mi sembra che avesse delle enormi scarpe da ginnastica.”
“Marco aveva un pantalone marrone a coste e una camicia color paglia?” lo interruppi.
“Come fai a saperlo?”
“Adesso il discorso sarebbe troppo lungo, ti ha detto qualcosa?”
“Sì. Le parole le ricordo benissimo, mi ha detto: Il male è intorno a noi, il male è paziente, il male ci osserva, il male è più vicino di quanto noi possiamo immaginare.”
Ripetevo le parole di Marco ad alta voce, mentre il cameriere arrivò con i caffè. Il suo sguardo era strano, mi guardava con occhio attento mentre si accingeva a depositare le tazze sul tavolo. Stefy lo allontanò con uno sorriso acido.
“Grazie mille, ma vorremmo stare da soli.”
“Cavolo. Cosa vuol dire?” chiesi.
“Non saprei ti ho chiamato per sapere se quello che mi ha detto per te ha un senso.”
“La persona che ti è apparsa in sogno è padre Alfonso Stecchetti”.
“Chi?”
“Poi ti spiego tutto con calma.”
“Va bene, come vuoi.”
“Siete andati alla casa sulla collina?” gli chiesi.
“Non ancora, stiamo per partire adesso.” mi rispose.
“Cosa, ancora non ci siete andati? Ma che state in vacanza?”
“Ricky non se la sentiva, ma adesso sembra aver preso coraggio.”
“Ok fammi sapere gli sviluppi.”
“Ci sentiamo.”
“Anto prendi il caffè, si raffredda” disse Stefy.
“Si grazie.”
Salimmo in macchina e ci avviammo verso casa. Risalendo la scoscesa strada che ci avrebbe riportato da Demon, scorsi in lontananza una figura sul ciglio della strada.
“Il Bambino, il bambino” urlò Stefy.
“Speriamo che non fugga” risposi.
Rallentai in prossimità della figura, fino a fermarmi.
“S… Sc… Scusa vuoi un passaggio?”
Il bambino annuì con il capo, non riuscivo a vederlo, aveva il viso coperto da un cappellino di baseball. Avrebbe potuto avere sui dodici, tredici anni. Scesi dall’auto per farlo salire, non lo vidi più.
“Stefy dov’è andato? È scomparso.”
“Anto sali in macchina… è qui.”
Risalii in auto, e lo vidi dallo specchietto retrovisore, era salito attraversando la carrozzeria, la mia automobile non aveva porte posteriori.
Era lo stesso bambino che avevo visto all’uscita della galleria e nel cimitero.
“Dove devi andare piccolo?” gli domandò Stefy.
Il bambino alzando il braccio indicò con l’indice di proseguire. Innestai la marcia e ritornai al centro della carreggiata. Proseguendo per la collina, cercavo di scorgerlo in viso, ma era impossibile, il cappellino che portava era enorme e lui aveva sempre la testa bassa. Era evidente che non volesse farsi guardare. Ogni tanto lanciavo qualche occhiata a Stefy, lei ricambiava. Non sapevamo cosa fare, l’unica cosa era proseguire.
“Anto guarda il bambino.”
“Cosa? Ma se è con noi?”
Un rapido sguardo allo specchietto retrovisore riaprì le porte dell’incubo. Era scomparso e riapparso a una cinquantina di metri da noi. Il tempo di avvicinarci, e prese a correre giù da una scarpata. Io e Stefy ci catapultammo dall’automobile, per inseguirlo, correva, correva forte, a rischio è pericolo gli correvamo dietro su un terreno scosceso, inciampai e caddi per parecchi metri. Mi ritrovai a terra, pieno di graffi e un forte dolore alla gamba. Stefy stava ancora scendendo giù per il pendio, con una mano la salutai, per farle capire che stavo bene, almeno ero vivo. Pochi minuti e Stefy riuscì a raggiungermi.

Continua…

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Gli occhi del male. Romanzo a puntate (quattordicesima parte)


cimitero-notteGuardando il display dell’auto mi accorsi che erano le 3:45.
Stavamo percorrendo la strada statale che ci avrebbe condotto a casa e in quel momento pensai al povero Demon lasciato a guardia della casa, chissà come avrebbe reagito al cospetto di una presenza malefica.
Frenai di botto l’automobile, mentre con la mano sinistra tenni Stefy affinché non finisse contro il parabrezza. L’automobile sbandò rigirandosi su sé stessa.
“Anto, ma sei impazzito ci vogliamo ammazzare?”
“Scusami, ma credo di impazzire.”
“In che senso?”
“Aspetta che ci togliamo dalla strada, potrebbe essere pericoloso.”
Accostai l’auto.
“Anto ma cosa fai, perché sei sceso?”.
Il chiaro di luna mi permetteva di vedere la scia di pneumatici lasciati sull’asfalto poco prima; avevo rischiato la vita, ma un pensiero mi tormentava, come un disco incantato che ripete sempre la stessa nota.
“Stefy, questa mattina quando sono sceso in paese per cercare padre Alfonso, mi sono recato al bar dove lavora Stella, ed è stata proprio lei ad indirizzarmi verso la chiesa.”
“E allora?” replicò Stefy, che nel frattempo era scesa dalla macchina.
“È stata lei a dirmi il cognome del prete. È stata lei a dirmi che si trattava di Alfonso Stecchetti e che era il parroco di Scario.”
“Impossibile.”
“No. Niente di impossibile Stefy. Non sono ancora impazzito, Stella mi ha detto il cognome del padre, ed è stata sempre lei stasera a dirmi che aveva capito male.”
“È coinvolta?”
“Il padre mi ha parlato del male…” gli risposi.
“Potrebbe essere lei la forma prescelta dal maligno?”
“SI, ma potrebbe essere anche questo fantomatico padre Alfonso.”
Stefy si passo entrambe le mani fra i capelli in segno di disperazione. Eravamo lì su una strada statale a farneticare, credevo di impazzire, e le poche ore che mancavano per l’alba mi sembravano interminabili. Dovevo sapere, lo volevo con tutto me stesso. Poi la svolta, o meglio l’incubo. Un rumore sordo proveniente dalla mia automobile attirò la nostra attenzione. Ero immobilizzato dal terrore, ma anche molto nervoso e teso. Non ci pensai troppo e aprii la portiera lato guida. Qualcosa usci dall’altra parte.
“È il bambino.” urlò Stefy.
Alzando lo sguardo vidi un ombra attraversare la strada per poi scomparire nell’oscurità della notte.
“Stefy, inseguiamolo.”
Presi la torcia d’emergenza che avevo nel cruscotto e attraversammo la strada. Sull’altro ciglio c’era solo un grosso cancello.
“Anto è il cimitero di Scario” sospirò Stefy.
L’insegna era enorme e logora.
“Stefy era il bambino con cui hai parlato?”.
“Sì, era lui”.
“Ok, allora dovremo scavalcare”.
“Sì ma come?” replicò lei.
Il cancello era enorme, sulla sommità erano saldate delle lance appuntite.
“Aspetta un attimo, prendo la macchina e la porto sotto il cancello, così da poterci salire e scavalcare.”
Riuscimmo senza non pochi sforzi ad oltrepassare il cancello. Il mio maglione fu lacerato da uno degli spuntoni.
Appena all’interno ci pentimmo della nostra impresa. Il paesaggio era terrificante, il cimitero si presentava con logore lapidi usurate dal tempo, una bassa nebbia le avvolgeva, la poca illuminazione era data da sporadici lumini accesi. Gli alti cipressi che costeggiavano le mura sembravano ombre nefaste.
Cercai di rimanere calmo, visto che Stefy trasudava paura allo stato puro, la presi per mano e la invitai a percorrere lo stretto vialetto di pietra.
“Anto io ho paura?”.
“E di cosa? Non avrai mica paura che qualche cadavere esca dalla tomba per afferrarci?”.
“Dopo quello che mi hai raccontato… sì.”.
La risposta mi gelò il sangue nelle vene, mi resi conto di aver detto una cretinata. Le strinsi la mano in segno di conforto e la invitai con un sorriso a seguirmi, ma il mio più che un sorriso era una smorfia nervosa. L’intera situazione era grottesca: eravamo in un cimitero ad inseguire uno spirito di un bambino… altrimenti come avrebbe fatto a passare il cancello?
In quel momento se fossero usciti i cadaveri dalle fosse non mi sarei sorpreso più di tanto… almeno credevo…
Ci incamminammo verso il sentiero centrale, in lontananza si vedeva una grossa cappella, Stefy mi stava attaccata addosso, la sua mano sudava, ma poteva essere anche la mia. Con il fascio di luce della torcia fendevo l’oscurità in cerca di di ogni minimo indizio, anche se per ogni lapide che illuminavo, ringraziavo il Dio per non aver visto niente.
“Anto non senti uno strano odore?”.
“Sì, è l’odore di santità. Lo stesso odore che ho sentito quando ho incontrato padre Alfonso.”
“Cos’è stato?”.
Un rumore di passi attirò la nostra attenzione.
“Stefy eccolo. È il bambino.”.
Correva fra le lapidi, lo inseguimmo, ma poco dopo scomparve.
“Stefy ma dove è andato?”
“Anto non lo so.”
“Se è uno spirito… e credo che lo sia, non lo prenderemo mai, come si fa a prendere qualcosa che…”
“Questo posto mette i brividi. È pieno di lapidi… che… che cosa?”.
“Anto hai visto un fantasma?”
“Credo proprio di si.”
Il fascio di luce della torcia era fisso sulla lapide ai nostri piedi, sopra c’era una foto ed un’incisione:

Padre Alfonso Stecchetti
1939 – 1989

Stefy si coprì la bocca per fermare l’urlo in arrivo. Riconobbi la foto, era l’uomo con cui avevo parlato la mattina prima.
Un altro rumore di passi proveniente dalle nostre spalle ci fece voltare, era il bambino, correva verso di noi.
“Stefy ma perché viene verso di noi? Da cosa scappa se non da noi?”
“Ecco da cosa scappa.” urlò Stefy.
Un grosso lupo nero lo inseguiva sbraitando, eravamo incapaci di intendere e di volere, non sapevo cosa fare, le nostre mani erano come incollate l’una nell’altra; lasciai che il destino decidesse per noi. Il bambino ci raggiunse passandoci attraverso, come se noi fossimo il nulla.
Il lupo invece si fermò a un paio di metri, era nero come le tenebre, le sue cavità oculari erano accese di una luce bianca.
“La luce dei morti.” pensai.
Dalla bocca semiaperta colava una sostanza verdastra, sembrava melma.
“Quella dello scafo.” suggerì l’inconscio.
Ringhiava con ferocia, facendo prima un passo in avanti e poi un altro indietro, come se fosse indeciso sull’attaccare o meno. La mia capacità di razionalizzazione fu rasa al suolo da un concentrato di puro terrore, non riuscivo a muovermi, anche gli occhi erano pietrificati, guardavano quelle cavità colme di luce, ma nello stesso tempo vuote.
“Vai via in nome di Dio. Ti ordino di andar via aguzzino delle tenebre, avvoltoio del buio, sicario del male, io ti sconfino da questo posto sacro in nome di Gesù Cristo nostro Signore.” tuonò una voce alle nostre spalle.
Svenni.

Continua…

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Antonio Ferrara intervista Barbara Baraldi


barbara baraldi striges la promessa immortale

Sono sicuro di non deludere chi stasera si aspettava la quattordicesima parte del romanzo “Gli occhi del male” (puntata posticipata domani alle 22:30) perchè è ospite di “Uno sguardo oltre la siepe” Barbara Baraldi. Tra i suoi lavori letterari spicca la saga dark fantasy “Scarlett”, giunta al secondo capitolo, intitolato «Il bacio del demone». Inoltre è vincitrice di vari premi letterari, tra cui il Gran Giallo città di Cattolica e il premio Valtenesi. Da pochi giorni è uscito in libreria il suo ultimo romanzo Striges – La promessa immortale.

1 Chi è Barbara Baraldi per Barbara Baraldi?

Una persona con una passione viscerale per la lettura e che ama raccontare storie. Ho iniziato a farlo per i miei fratelli quando erano piccoli per tenerli buoni e non ho più smesso.

2 Come ti è venuta in mente la follia di scrivere?

Non sono stata io a scegliere la scrittura. La scrittura ha scelto me. E ora, scrivere è un bisogno fisico, un’urgenza.

3 Bella e brava con il debole per il lato oscuro della scrittura. Questa condizione, oltre ai fans, ti ha portato anche qualche sgradita sorpresa?

Ogni cosa ha il suo lato negativo. Lavorando in questo ambiente ho dovuto fronteggiare persone invidiose e che si sono dimostrate false, qualcuno mi ha attaccata senza conoscermi o aver letto nulla di me, ma penso siano cose che accadono in tutti gli ambienti. Ho fatto mia la frase che un camionista si era fatto aerografare sul suo mezzo: “La tua invidia è la mia fortuna”.

4 Edizione cartacea o eBook?

Sono una feticista della carta stampata, ma rispondo entrambi in modo parallelo. La carta non morirà mai, ma l’ebook può dare la possibilità di acquistare un numero maggiore di libri e poter comprare i più belli, successivamente, anche in versione cartacea.

5 Nella tua “vita pubblica” ti presenti fatale e vampiresca. In quella privata?

Sono una persona molto semplice. Amo leggere, ascoltare musica e guardare bei film, oltre che la buona cucina.

6 Stephen King sostiene che: Uno scrittore competente si possa trasformare in un bravo scrittore.

Sono d’accordo e aggiungo che è importante cercare di migliorarsi sempre e continuare con la ricerca del proprio stile. Del resto, è saggio chi sa di non sapere

7 Vivere di scrittura? Che ne pensi?

È dura, ma ci si può riuscire procedendo un passo alla volta.

8 Pubblicare con un “grande” editore è impossibile o cosa per un giovane autore oggi?

Una cosa che amo dire a chi vorrebbe intraprendere il sogno della scrittura è che niente è impossibile. L’importante è crederci e impegnarsi accettando con umiltà consigli, mettendosi alla prova e lavorando duramente, perché per poter realizzare un sogno bisogna essere disposti a sanguinare.

9 STRIGES?

È il mio ultimo romanzo, una storia a cui tengo particolarmente e che è germogliata dentro di me nell’arco di tanti anni. Sono partita dalle leggende e dai racconti popolari che mi raccontava mia nonna da bambina e le ho trasfigurate mescolando la tradizione magica italiana, alla mitologia celtica e l’antica religione. Volevo narrare la storia di un amore impossibile, ma che riesce a superare le barriere del tempo. E se una strega si innamorasse di un Inquisitore? Questa è stata la domanda da cui è scaturito il romanzo.

10 Come scrivi? Quando scrivi? Dove scrivi?

A volte ascolto musica di sottofondo, a volte lo faccio circondata dal più completo silenzio. Certe volte mi preparo un tè alla vaniglia, altre preferisco una cioccolata calda. Scrivo tutti i giorni e ovunque mi trovi, con il mio portatile.

11 Qualche anticipazione sul tuo prossimo romanzo?

Sono al lavoro su alcuni progetti che spero di potervi annunciare al più presto, tra cui una nuova serie a fumetti.

12 Il tuo consiglio a un bravo autore che vorrebbe fare il mestiere di scrittore?

Non c’è un trucco per essere notati dal grande editore, ma ci si può arrivare procedendo un passo alla volta e dimostrando la propria professionalità. Spesso mi capita di essere contattata da aspiranti scrittori che mi chiedono: “Come hai fatto a pubblicare con Mondadori?”. Penso che questa sia la domanda sbagliata per chi vuole intraprendere la carriera di scrittore. È come voler arrivare in cima a una torre senza avere la costanza di salire un gradino alla volta. Per quanto mi riguarda sono sempre stata severa con me stessa. Bisogna essere il proprio critico peggiore. Per chi vuole arrivare al grande editore consiglio di leggere libri di tutti i generi, libri belli perché la cattiva letteratura è contagiosa. Di rileggersi molto. Qualcuno prima di me ha detto: “Scrivere vuol dire riscrivere”. In particolare, tolleranza zero su aggettivi e avverbi. Consiglio di inviare i manoscritti agli editori privi di errori di battitura e ben impaginati e rilegati, con un carattere ben leggibile e i numeri di pagina, o il rifiuto scatta immediato. Di partecipare ai concorsi letterari perché permettono di essere letti dagli addetti ai lavori. Per ultimo, consiglio di non arrendersi facilmente: ci sono best seller che hanno atteso anni prima di essere comprati da un editore. Per quanto mi riguarda, ho cominciato ad avere i primi incoraggiamenti proprio tramite i concorsi letterari. La vittoria al Gran Giallo di Cattolica mi ha permesso di avere il mio primo racconto pubblicato in appendice alla prestigiosa collana “Il Giallo Mondadori”. Il racconto era piaciuto tanto all’editor di allora che mi chiese se avevo un romanzo pronto da proporgli. Pochi mesi dopo ho firmato il contratto per “La bambola dagli occhi di cristallo”.

13 Cosa vuol fare da grande Barbara Baraldi?

La scrittrice.

Grazie per essere stata mia ospite.

BARBARA BARALDI  è autrice di romanzi noir, libri per ragazzi e sceneggiature di fumetti.

Scrive per Mondadori la saga dark fantasy “Scarlett”, giunta al secondo capitolo, intitolato «Il bacio del demone».

Insieme a Camilleri, Lucarelli, Carlotto e De Cataldo, è protagonista di «Italian noir», il documentario prodotto dalla BBC sul thriller italiano.

È vincitrice di vari premi letterari, tra cui il Gran Giallo città di Cattolica e il premio Valtenesi.

I suoi libri sono accolti con favore dalla critica e dal pubblico, e sono pubblicati in nove Paesi, tra cui Germania, Inghilterra e Stati Uniti. Alcuni titoli: «La bambola dagli occhi di cristallo», «Lullaby – La ninna nanna della morte», «La casa di Amelia».

Ha sceneggiato la storia «Il bottone di madreperla», pubblicata su Dylan Dog color fest n.9. Il suo romanzo più recente è «Un sogno lungo un’estate» (Einaudi).

Barbara Baraldi Official Website


Gli occhi del male. Romanzo a puntate (tredicesima parte)


padre prete chiesaLa trovai in lacrime, riversa sotto il portico di casa.
“Stefy ma cosa diavolo?”
“Anto aiutami, lo scafo.”
“Lo scafo cosa? Dimmi?”
“Sono andata a vedere la barca dell’incubo e…”
“Aspetta un attimo, vado a vedere.”
Girando dietro la casa vidi Demon che abbaiava contro il relitto.
“Demon, Basta. Vai via di lì.”
Il cane smise di sbraitare, ma si vedeva che era nervoso, continuava a digrignare i denti. Avvicinandomi allo scafo sentii un tanfo putrido, l’acqua era verdastra e la superficie era ricoperta di aghi di pino e una folta nuvola di moscerini, larve e zanzare danzavano sullo specchio d’acqua. Mi allungai per guardare meglio e qualcosa si mosse, l’acqua mi schizzò in faccia. Ne bevvì anche un po’ mentre cadevo sul terreno umido. Demon riprese ad abbaiare, mentre mi rimettevo in piedi per capire cosa c’era nella vasca. Si trattava di una mano che aveva cercato di afferrarmi per trascinarmi nella melma, pensai. Invece era solo una pigna caduta nell’acqua. Puzzavo di fogna.
“Stefy io non ho visto niente.”
“Anto sei sicuro? Allora perché sei bagnato? E come puzzi.”
“Stefy guarda lasciamo perdere, ti dico che nella vasca non c’era niente.”
“Ah, lo chiami niente? Guarda come sei conciato? Mi sono avvicinata allo scafo, qualcuno mi ha afferrata e mi ha trascinata dentro l’acqua. Lì sotto c’era il bambino di ieri. Era morto. Guardandolo… ho notato… come dirtelo…”.
“E allora?” le dissi.
“Non li aveva.” mi rispose.
“Non aveva cosa?”
“Gli occhi.”
L’abbracciai, forse come non mai.
“Stefy stai tranquilla è stato solo un brutto sogno, guardati, sei asciutta”.
Era nervosa e incredula.
“Adesso cosa facciamo?” mi disse.
“Bè, per iniziare alziamoci dal portico ed entriamo in casa.”
Stefy si accomodò sul divano, mentre io decisi di andare in bagno a farmi una doccia. Le raccontai l’enigmatico incontro con padre Alfonso Stecchetti.
“Marco ha chiamato?” le chiesi.
“No, il tuo cellulare è sul caminetto, ma non è arrivata nessuna chiamata.”
“Ok, adesso provo a chiamarlo io, vediamo che fine hanno fatto.”
“Anto, ancora niente?”
“I telefono è irraggiungibili. Proveremo più tardi.”
Scese la notte, ma il sonno tardava ad arrivare, qualcosa non quadrava.
“Anto sei ancora sveglio?” squillò la voce di Stefy dall’altra stanza.
“Si, non riesco a dormire, ma che ore sono?”
“le 2:45”
“Caspita è tardi davvero.”
“Senti Anto, mi è sorto un dubbio.”
“Dimmi.”
“Ma mi hai raccontato proprio tutto quello che ti sei detto con padre Alfonso?”
“Si, certo. Perché non avrei dovuto?”
“Non so, poteva esserti sfuggito qualcosa, no?”
“Impossibile, ti ho detto tutto quello che ci siamo detti, a un certo punto mi sono sentito un vero deficiente, ho messo in dubbio le sue parole e lui si è arrabbiato non poco e ha iniziato a borbottare
“Allora come mai sei venuto da me? Non credi a quello che hai visto in sogno? Non credi alla tua amica? Il bambino? La vasca insanguinata? Allora come mai sei qui?”
“Anto, questo me lo hai detto.”
“Ehi, aspetta un attimo.”
In me si accese una lampadina, come quelle viste nei cartoni animati.
“Come ho fatto a non accorgermene?”
“Accorgerti di cosa?” disse Stefy mentre entrava in camera.
“Stefy accendi la luce per piacere.”
“Allora Anto che c’è? Ti sei ricordato qualche particolare?”
“Stefy io non ho mai raccontato a padre Alfonso l’incubo della vasca insanguinata. Come faceva a sapere? Ricordo che gli ho parlato di incubi e allucinazioni ma non gli ho accennato della vasca.”
“Sei sicuro?”
“Come la morte.”
“Allora che facciamo?”
“Stefy vestiti, scendiamo in paese, dobbiamo sapere.”
Usciti dalla casa, era buio e faceva molto freddo e l’umidità bagnava i vestiti. Salimmo in auto per dirigerci in paese. Dal parabrezza dell’auto si vedeva il cielo senza stelle e la luna che illuminava lo scosceso manto stradale. I fari dell’auto incrociarono una volpe che attraversava la strada per poi scomparire dietro un cespuglio. Il paese era deserto, le luci dei lampioni erano spente. Ci posizionammo davanti la chiesa.
“Anto, adesso dove lo troviamo questo padre?”.
“Non ne ho la più pallida idea.”.
Una ragazza passeggiava sul marciapiede.
“Stella.” urlai
“Anto, che ci fai a quest’ora in giro?”
“Sto cercando padre Alfonso, sai dove abita?”
“Certo. Vedi quell’edificio giallo? È al primo piano.”
“Grazie Stella sei un santa.”
“Certo che sei strano eh?”
“Adesso non posso spiegarti, ma appena potrò ti racconterò tutto. Ti adoro.”
Lei arrossì, poi sporgendosi verso il finestrino mi diede un bacio. Le sue labbra erano molto fresche, la sensazione fu piacevole. Arrivati all’edificio giallo scendemmo dall’auto.
“Stefy guardiamo i citofoni.”
“Anto qui c’è un certo Padre Giovanni Martelli, ma non si chiamava Alfonso Stecchetti?”
“Sì, certo, avranno sbagliato ad affiggere la targhetta.” gli risposi.
“Pronto… c… ch… chi è?” rispose una voce assonnata.
“Padre ci scusi per l’orario, sono Antonio, è urgente posso salire un attimo?”
“Antonio? A quest’ora della notte? Ma cos’è uno scherzo?”
“No, No, nessuno scherzo, la prego padre ci apra.” urlò Stefy.
Il portone di legno emise un rumore meccanico. Salimmo in fretta un paio di rampe di scale, fino a trovarci al cospetto di un uomo in pigiama con lo sguardo assonnato.
“Ragazzi spero per voi che si tratti di qualcosa di importante.”
“Padre vede oggi… bè… io… vede… credo che…”.
“Ragazzi allora, ma che siete ubriachi?”
“Anto digli della vasca insanguinata.” bisbigliò Stefy.
L’uomo che ci aveva accolti non era quello con cui avevo parlato in chiesa.
“Senta, noi stiamo cercando padre Alfonso Stecchetti.”
“Guardate che avete sbagliato abitazione, qui ci sono io e sono Padre Giovanni, non conosco nessun Alfonso… Posso ritornare a dormire adesso?”
“Sì, ci scusi padre leviamo il distu…”.
La porta si chiuse con violenza dinanzi le nostre facce.
“Stefy che casino, con i favori del giorno cercheremo di far luce in questa storia.”
Scendemmo le scale, e uscimmo in strada.
“Ciao ragazzi” disse una voce femminile.
“Ehi, Stella ancora qui?”
“Guarda che qui non abita nessun Padre Alfonso” borbottò Stefy.
“Ma quale Alfonso? Io avevo capito che cercavate Padre Martelli” rispose Stella.
“Non ci siamo capiti, il padre in questione di cognome porta Stecchetti.” aggiunsi io.
“Mi dispiace ragazzi, l’uomo di cui parlate non lo conosco.”
“Ok qui fa un freddo cane, perché non c’è ne andiamo” propose Stefy
“Buona idea, Stella vuoi un passaggio?” le chiesi.
“No grazie, abito qui a due passi.”

Continua…

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Gli occhi del male. Romanzo a puntate (dodicesima parte)


la-morte“Mi scusi padre sono solo un po’ sconvolto, ho i nervi a pezzi; io volevo parlarle di presagi di morte, tenebre, e chissà cos’altro”.
Il padre si fece serio.
“Dimmi tutto… Antonio”.
“Ci sono dei sogni premonitori che non ci lasciano scampo, tutti questi sogn… Più che sogni sono incubi, fanno riferimento a questo posto. Scario.”.
“Interessante” rispose il padre.
Il suo tono non mi piaceva, ma dovevo dirgli tutto. Dovevo.
“In questi incubi l’elemento predominate è il sangue, tanto sangue. La mia amica con cui sono venuto ha incontrato un bambino che scappava da un lupo; almeno così ha detto, inoltre ha aggiunto che soltanto lei, Padre Alfonso, avrebbe potuto aiutarlo”.
“Figliolo, scusa, Antonio, il messaggio è chiaro: il bambino è con tutta probabilità un’anima del purgatorio, la sua essenza vaga in cerca d’aiuto, vuole raggiungere il riposo eterno, ma non può farcela da solo, non era giunto ancora il suo momento quando l’anima si è distaccata dal corpo. Non doveva morire, ma nonostante ciò, è morto lo stesso”.
“Cosa? Non doveva morire? Il suo momento?” replicai
“A volte le anime dei caduti vagano in eterno perché non hanno trovato ancora pace, quella serenità che gli permetterebbe di valicare i cancelli del paradiso. Vogliono che sia fatta giustizia”.
Ero esterrefatto, seguivo il discorso del padre con stupore, ma anche con tanto interesse. Il padre sorseggiò il caffè poi mi disse:
“Il lupo inseguitore rappresenta le tenebre, sempre affamate di anime. Il sangue è presagio di morte, ma anche di vita”.
“Di morte è di vita nello stesso momento? Ma com’è possibile?” interruppi io.
“Sì, proprio così; il sangue è vita è morte allo stesso istante, è il liquido che dà la vita ma è anche quello che la toglie” rispose.
“Padre pensavo che certe cose esistessero solo nei film di fantascienza, per me è tutto così assurdo”.
“Mi sono fatto pastore di Dio perché credo nel bene, ma so anche che senza di esso non esisterebbe il male, in poche parole il nulla”.
“Insomma lei mi sta dicendo che il bene è il male si confrontano qui su questo nostro mondo? Una sorta di campo neutro?”
“SI. Nessuno delle due forze può invadere il campo avversario, loro sono intorno a noi. Affrontandosi però su un territorio estraneo hanno bisogno di noi per sopraffare l’altra forza.”.
“Aspettate, avete detto che hanno bisogno di noi per sopraffare l’altro no? Perché la terra è il nostro campo vero?”
“Incominci a capire, eh? Si servono di noi per combattere le loro guerre giornaliere. Non sempre ce ne accorgiamo, è il caso in cui le forze del bene hanno prevalso su quelle del male: Padre Pio, Maria Teresa Di Calcutta, Fra Umile, San Francesco, uomini mortali che hanno dedicato la loro vita in favore del bene, affinché un po’ di luce prosperasse attraverso le tenebre. Poi c’è il rovescio della medaglia: i mostri che violentano i bambini, gli assassini, i signori della droga, tutte manifestazioni del male. Anche se psicologi e scienziati tentano sempre di dare una risposta concreta ai vari avvenimenti, ti posso garantire che non c’è sempre una soluzione. Ci possono essere dei perché, ma non sempre c’è una risposta”.
“Padre ma allora come mai quest’anima è venuta da noi e non si è rivolta direttamente a lei per chiederle aiuto?”.
“I prescelti siete voi, siete stati pescati da un mazzo di carte, siete voi che dovete scendere in campo e combattere. L’anima avrà pensato che avevate bisogno di un aiuto spirituale e vi ha mandato da me”.
“Siamo i prescelti?”.
Mi sentivo nervoso e frastornato, non potevo credere che eravamo i prescelti di una missione sacra, eravamo solo dei ragazzi, ognuno con la propria vita da vivere. Un nervo pulsante chiamato “perché?” si agitava nella mia testa senza che io potessi cacciarlo.
“Padre perché? Perché? Perché? Proprio noi”.
“Anche io tempo fa ho affrontato il male, e come vedi sono ancora qua, ma la mia vita è molto cambiata. Non devi in ogni modo aver paura della morte, essa è l’arbitrio di questa eterna lotta”.
“L’arbitrio?”
“La morte non è come la immagina la maggior parte delle persone; cioè un male. Essa è imparziale, quando arriva è perché è stata mandata, l’importante è che essa sia stata commissionata dalle forze del bene”.
“Padre mi risulta tutto così assurdo, grottesco, irrazionale”.
“Per farti capire meglio devi sapere che la morte può essere vestita di bianco, oppure di nero. Tutti la vedono prima di morire, ma malgrado ciò siamo impossibilitati a riferirlo. Si può manifestare un attimo prima della nostra morte terrena, ma anche mesi prima.
“Mamma mia, che casino; morte nera, bianca, credo di impazzire.”.
“Ragazzo devi sapere inoltre che quando ci viene a far visita giorni prima, stai sicuro che sei in presenza della morte bianca, è buona, vuole e deve portarci in mondo migliore. Così le è stato ordinato, ci viene a trovare giorni prima per darci il tempo di organizzare le ultime faccende in sospeso prima del lungo viaggio del non ritorno”.
“Padre, ma lei mi vuol far credere che ognuno di noi prima del suo ultimo sospiro veda la morte? Ma come faccio a crederle, è assurdo.”.
“Allora come mai sei venuto da me? Non credi a quello che hai visto in sogno? Non credi alla tua amica? Il bambino? La vasca insanguinata? Allora come mai sei qui?”.
“Certo che credo… ma…”.
“Ma niente.” tuonò il padre.
“Ascoltami ragazzo: Circa una decina di anni fa fui coinvolto in una missione sacra. Non ero ancora un pastore di Dio, ma nonostante questo mi ritrovai a fronteggiare il male. Esso non è un mostro, una cosa che si può toccare o annusare. Non puoi fronteggiarlo finché non si manifesta sotto la forma prescelta. Quando non è ancora manifesto, può intimidirti, spaventarti, indebolirti, ma non può in nessun caso toccarti”.
“Ma come mai non può toccarci? Lui è il male una forza superiore, no?”.
“Noi apparteniamo a un regno, lui a un altro, per farti male deve diventare come noi, deve giocare e combattere secondo le regole del nostro regno. Deve essere qualcosa che respiri fatto di carne ossa e sangue. Deve essere VIVO. Come tu saprai qualsiasi cosa viva può essere sconfitta”.
Ero sconvolto, l’impressione era quella di trovarsi al cospetto di un santone guida… e forse lo era… Sapeva e diceva cose che riguardavano l’aldilà con una naturalezza e tranquillità snervanti.
Mi disse poi che aveva combattuto con il maligno, e che era riuscito a rinchiuderlo in un posto sicuro. Sinceramente non gli chiesi dove l’avesse rinchiuso, anche perché già avevo abbastanza guai, figuriamoci se mi sarei sognato di andare a interessarmi di una presenza nefasta rinchiusa chissà dove. Lasciai padre Alfonso e ritornai da Stefy.

Continua…

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Gli occhi del male. Romanzo a puntate (undicecima parte)


Chiesa dell'Immacolata di ScarioLUNEDI’

Sentivo il mio viso umido, qualcosa di caldo e appiccicaticcio mi stava bagnando; aprendo gli occhi vidi il faccione di Demon sopra di me.
“Ahhh… Demon, ma che schifo.”.
Ero riverso sul pavimento e dalla finestra un raggio di sole mi accecava; cercai di rialzarmi, ma mi sentivo intorpidito. Mi ero addormentato la sera prima senza neanche accorgermene, intorno a me c’erano una dozzina di birre vuote.
“Accidenti ci siamo dati da fare” dissi rivolgendomi a Stefy.
Stava ancora dormendo sul divano; in qualche modo riuscii a rimettermi in piedi. Demon mi osservava incuriosito.
Ero incredulo, un bambino era comparso dal nulla e ci aveva mostrato il cammino da percorrere.
“Ma tutto questo sta davvero succedendo?” disse una voce dentro di me.
“Sembra proprio di sì.” le risposi ad alta voce.
Mi sentivo come in un gioco di società; eravamo come pedine,  facevamo le mosse, poi aspettavamo le indicazioni per farne altre. Ma quando finirà tutto questo? Dove ci avrebbe condotto questo gioco infernale? E soprattutto, come sarebbe finito?  L’ultima casella della plancia di gioco che sorpresa ci avrebbe riservato? Erano interrogativi ai quali non riuscivo a dare una risposta, eppure era lì da qualche parte. L’orologio sul caminetto segnava le 9:30. Pensai che Demon avrebbe fatto buona guardia a Stefy, mentre io avevo intenzione di scendere in paese.
Arrivato nelle vicinanze della piazza, parcheggiai l’auto e mi avviai verso il lungomare. D’estate vi erano centinaia di persone che passeggiavano, ragazzi cicciotelli e brufolosi che mangiavano gelati e i bar esponevano con orgoglio tavolini e ombrelloni variopinti, mentre gruppi di artisti di piazza si esibivano. Durante il giorno partivano nevette pieni di gente diretti a spiagge formatesi nella roccia.
Quella mattina era tutto diverso, notai che bar e negozietti erano comunque aperti, ma ombrelloni e tavolini all’aperto erano scomparsi. Il mare era agitato e le onde s’infrangevano con violenza contro la scogliera; un paio di vecchietti erano affacciati a un balcone e il tutto sembrava surreale, desolato, una città fantasma. Tutta l’allegria e gli schiamazzi estivi se n’erano andati con la bella stagione. Pensai di fare visita all’unica persona che conoscevo, e che in quel periodo poteva essere a Scario. Entrai all’interno del bar “Scogliera”. L’ambiente era molto modesto. L’attività rendeva abbastanza solo nel periodo estivo. Ricordo che dopo le nostre serate in discoteca passavamo di lì a prendere i cornetti caldi.
“Ciao Stella”.
“Ehi Antonio, ma che ci fai qui?” rispose la ragazza da dietro il bancone.
“Ti sono venuto a trovare”.
“Mamma mia che sorpresa, accomodati ti preparo un caffè”.
“Sì ma soltanto se mi fai compagnia”.
“È logico, sai che mi piace molto il caffè”.
Era una ragazza che avevo conosciuto qualche anno prima, lavorava da sempre in quel bar. Era alta e snella, e non l’avevo mai vista truccata.
“Ecco il tuo caffè.” mi disse mentre si sedeva al tavolo.
“Che mi racconti?”.
“Niente di particolare, sto cercando padre Alfonso, lo conosci?”.
“Come no. È il parroco della chiesa di Scario”.
Arricciai il naso, avevo fatto proprio una bella figura. Frequentavo Scario da anni e non conoscevo il parroco. Ero cattolico ma anche ragazzo, durante il periodo estivo pensavo a divertirmi con gli amici dedicando poco tempo alle situazioni religiose.
“Perché cerchi padre Alfonso Stecchetti?”.
Non mi andava di raccontargli tutto, e non volevo che pensasse che fossi pazzo.
“Ho scoperto che siamo parenti” le dissi.
“Ma davvero? Guarda i casi della vita.”.
“Ok, ora devo andare, ma ritorno a trovarti; quanto ti devo per il caffè?”.
“Eh, aspetta e spera, chissà adesso quando ti fai rivedere… Il caffè lo offro io.”.
“Grazie Stella”.
Mi avvicinai per salutarla con un bacio, e lei mi sussurrò all’orecchio.
“Sei mio”.
La guardai divertito e le sorrisi.
Uscendo dal bar, in lontananza vidi la chiesa. Era molto antica e aveva un grosso campanile al quale si accedeva esternamente, con tutta probabilità la costruzione risaliva al periodo medioevale. Entrato nella chiesa potei ammirare le svariate statue di santi alloggiate in apposite nicchie, grosse cassapanche di legno e in fondo alla costruzione un altare di marmo. Il posto era deserto, ma alcune candele erano accese e l’aria era cosparsa di un certo non so che…
Era parecchio tempo che non mettevo piede in una chiesa, ma l’effetto fu rilassante.
Avvicinandomi all’altare potei notare più da vicino l’imponente Gesù appeso alla parete, era molto bello e fatto probabilmente di un ottimo materiale, la curiosità mi spinse ad avvicinarmi ai piedi per poterli toccare.
“Benvenuto nella casa del Signore figliolo”.
Ero attonito, la statua stava parlando.
Alzai lo sguardo, ma il gesto fu dettato dal terrore e non dalla ragione.
“Che cosa posso fare per tè ragazzo”.
Questo era troppo anche per me, Gesù mi stava interpellando, e io ero immobilizzato dal terrore, si è vero, si trattava del figlio di Dio, ma io avevo una fifa del diavolo. Avrei potuto chiedergli di aiutarmi, ma il senso di smarrimento misto a stupore bloccava ogni mia iniziativa di razionalizzare il tutto.
Qualcosa si era appoggiato sulla mia spalla sinistra, rimasi immobile, ma riuscii a girare entrambi gli occhi per vedere cosa mi aveva toccato. Con orrore vidi una mano rugosa, portava un anello d’oro sull’anulare.
Urlai, ma fu breve, l’urlo si spense in gola quando vidi che si trattava di un uomo di mezza statura, calvo un po’ grassoccio vestito con pantalone e camicia, notai che sotto il braccio aveva una bibbia.
“S… S… Salve, cerco padre Alfonso”.
“L’ha trovato. Piacere Padre Alfonso Stecchetti” rispose
“Posso fare qualcosa per lei giovanotto?”.
“Il suo viso era sereno e ispirava fiducia, il suo abbigliamento no. Vestiva con delle tremende scarpe da ginnastica infangate, un pantalone marrone a coste e una camicia color paglia, il tutto era molto anni settanta e fuori moda.
Sì, era vero che non entravo in chiesa da parecchio tempo, ma l’abbigliamento del padre era molto inusuale.
“Scusa per l’abbigliamento figliolo, ma sono appena tornato da una scampagnata e non potevo certo andarci con la tunica”.
“Accidenti, mi ha letto nel pensiero” pensai
“No padre si figuri” gli risposi.
“Allora a cosa devo il motivo della tua visita figl… ragaz…”.
“Antonio, padre, mi chiamo Antonio”.
“Padre sono venuto da lei per una situazione molto delicata, ma non so se dopo avermi ascoltato lei mi reputi degno di manicomio”.
“Andiamo al bar dietro l’angolo, lì non c’è mai nessuno e potremmo discutere in tutta tranquillità” disse il padre.
Il bar si trovava a due passi dalla chiesa dietro un vicolo, era buio, angusto e fatiscente. Ordinammo due caffè, anche se ne avevo preso uno poco prima, non ci badai e ne presi un altro.
“Dimmi figliolo.”.
“Padre per favore non mi chiami figliolo, basta Antonio”.
Lui annuì e disse:
“Problemi di droga? Ti sei lasciato con la ragazza? Hai bestemmiato? Rubato?”.
“Padre ma cosa dice, le sembro il tipo che si è fatto 200 e più Km per venirgli a confessare peccati del genere?”.
Il suo viso s’imbronciò.
“Mi scusi padre sono solo un po’ sconvolto, ho i nervi a pezzi; io volevo parlarle di presagi di morte, tenebre, e chissà cos’altro”.
Il padre si fece serio.
“Dimmi tutto… Antonio”.

Continua…

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